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20 settembre 2019

C'era una volta...a Hollywood

Andiamo al Cinema

Eccoci qui, a parlare dell'ultimo film di Quentin Tarantino.
Un film che ci porta nella Hollywood degli anni '60, quella appena uscita dalla Summer of Love e pronta a finire il suo sogno a Cielo Drive nella notte del 9 agosto 1969, la notte in cui Sharon Tate venne brutalmente uccisa assieme a 4 amici nella casa del marito Roman Polanski.
Il fantasma di Charles Manson aleggia su tutto il film.
E aleggia in realtà da tutta l'estate: a 50 anni dalle sue terribili gesta viene ricordato e fatto protagonista al cinema come nelle serie TV, dall'irritante Charlie Says -in realtà, dello scorso anno, ma uscito strategicamente in Italia prima di Tarantino e nell'agosto delle sue gesta- al ridimensionato carcerato di Mindhunter.
Nota a parte: è lo stesso attore Damon Herriman ad interpretare Manson sia nella serie Netflix che qui, per Tarantino. Anche se, bisogna dirlo, appare per appena un paio di minuti.
Altra nota a parte, nella sua Family fanno parte oltre a Lena Dunham, Maya Hawke, Dakota Fanning anche due giovanissime attrici che sempre più spesso si incontrano: Margaret Qualley (sì, vista in The Leftovers, e poi in Fosse/Verdon e infine in Seberg) e Sydney Sweeney (passata da Everything Sucks! a The Handmaid's Tale e infine in Euphoria).
Ma non divaghiamo.



Torniamo a parlare di C'era una volta...a Hollywood.
Dove per la prima volta vediamo su grande schermo, assieme, Leonardo DiCaprio e Brad Pitt nei panni di Rick Dalton, un attore alla deriva, e del suo stuntman e tuttofare.
Li vedi e pensi: DiCaprio si cimenta in più e più ruoli dimostrando tutta la sua bravura, il suo essere camaleontico, Brad Pitt, si mostra in tutta la sua bellezza decisamente anni '60. Lo vedi, sicuro di sé, un po' sbruffone, a petto nudo o a bordo della sua Karmann Ghia, e non puoi non pensare a Robert Redford, a quello stile americano così simile. Una somiglianza che ai tempi della Stangata -vista con estremo ritardo- mi aveva lasciato basita...


Ma non divaghiamo, torniamo a parlare di C'era una volta...a Hollywood.
Che non è un film, è un insieme di film.
Mostra stralci di western, di commedia, di western ancora.
Tarantino si è decisamente fissato o inceppato sul genere, e anche se siamo negli anni '60, ad Hollywood, siamo pur sempre in quegli '60 dove ad Hollywood come a Roma il genere spopolava.
Il nostro Rick Dalton cerca di stare a galla, lui che era un buono passa a fare il cattivo in innumerevoli serie TV, osservando la sua carriera andare a fondo, mantenendo la sua casa in Cielo Drive come speranza per il futuro. D'altronde, il suo vicino di casa è il regista del momento: Roman Polanski.
Così, lo ricordiamo, lo seguiamo e lo amiamo in ruoli via via minori e diversi, entrare e uscire dai personaggi, confrontarsi con produttori interessati (Al Pacino!), attori affermarti (ah, Timothy Olyphant!), attori-bambini più maturi e adulti di lui, alcolizzato e depresso.
Quindi, parla di lui, Rick Dalton, C'era una volta...a Hollywood?
No, o meglio non solo.


Parla anche di Cliff Booth, il suo tuttofare, che non cerca la fama, non cerca i soldi, vive onestamente con quello che ha.
Vive un po' alla giornata, seguendo gli ordini di Rick e girovagando con la sua auto. Finisce così -per caso, per infatuazione di una bella hippie- nello Spahn Ranch: set cinematografico in disuso in cui sosta la Famiglia di Manson.
Sospettoso e per niente accondiscendente con chi vive alla giornata non proprio onestamente, Cliff se la caverà a modo suo.
E diciamolo -senza svelare troppo: per la seconda volta si ringrazia Brad Pitt per esserci e per essere l'uomo giusto al momento giusto. Come già in 12 anni schiavo, salva la situazione. Lì, semplicemente, prendendo una lettera (gesto semplice che rende ancora più drammatici i 12 anni da schiavo di Solomon Northup), qui in modo più cruento, più splatter, più... tarantiniano.


Scusate la divagazione, torniamo a parlare di C'era una volta...a Hollywood in cui sì, Tarantino ci tiene a confermare di essere Tarantino.
Inserisce in cammei, particine, e comparsate tutta la sua gang, costruisce dialoghi e monologhi centratissimi, concede innumerevoli primi piani di piedi (belli, sporchi, deformati dal vetro) che fanno la sua gioia e quella dei feticisti, passa per un omaggio anti-nazista al suo Bastardi senza gloria e conclude con quel sangue, quel pulp, a cui tanto tiene, in una parte finale che risolleva quanto visto finora.
Perché sì, tornando a parlare di C'era una volta...a Hollywood, bisogna ammettere che è difficile seguire il punto del film.


Nel suo continuo divagare, proprio come qui, c'è spazio per tutto.
Per film, pubblicità, ricordi, botte da orbi con Bruce Lee, omicidi che forse sono tali, forse no, cani degnamente ammaestrati, feste nella mansion di Playboy...
Insomma, mi si dirà, è Hollywood!
È la Hollywood degli anni '60, ricostruita in tutto  per tutto, con dovizie di particolare che fan felici gli storici, impazzire gli scenografi. Con il 35mm che fa la differenza, la grana, i colori, i costumi, la musica ovviamente, tutto progettato per farci sentire di essere lì, in quel 1969.
È la Hollywood, ed è il cinema, a cui Tarantino tiene.
C'è il western, in ogni sua sfumatura, ci sono le serie TV dell'epoca, c'è il cinema di un tempo, quello aperto a tutte le ore, quello in cui Sharon Tate vede Sharon Tate, con una bellissima, bravissima, incantevole Margot Robbie che guarda la non-se stessa creando un momento magico di metacinema.


C'è devozione e amore per questo cinema, Tarantino lo fa trasudare in ogni scena, in ogni ricordo, flashback, deviazione.
Creando così non un film, ma tanti film.
Tante prove d'attore soprattutto, che coinvolgono in primis un DiCaprio fenomenale che passa dal cacciatore di taglie al cacciatore di nazisti, dal perfido cattivo a un incredibile Steve McQueen. 
Il punto, alla fine di questi 160 minuti, resta però sospeso.
Pieni di entusiasmo per un finale che accelera le cose, creando suspense e rivoltando le carte in tavola in modo splendido proprio come fatto nella Germania nazista, si ripensa al viaggio compiuto per arrivarci e restano dubbi.
Restano tante divagazioni, tanto materiale non sempre ben assemblato.
Resta un cast difficile da contenere e da citare tutto (Bruce Dern! Luke Perry! Emile Hirsch!), momenti che trasbordano sul totale.
In sospeso, allora, ma neanche troppo.
Che il troppo stroppia, si dice dalle mie parti.
E l'incontenibile Tarantino si fatica a sostenerlo appieno.

Voto: ☕☕/5


5 commenti:

  1. Per me invece il punto torna perfettamente. Si separa il cinema dalla realtà e si fa vedere come l'arte sia salvifica e migliorativa del mondo - questa almeno è l'impressione che mi ha dato. Non l'ho trovato così slegato come dicono molti...

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    1. Sarà stata la lunghezza, saranno state troppe le finestre che ha aperto ma a lungo andare la struttura non ha retto con me, soprattutto se confrontata con il reparto tecnico e l'amore che si sentiva trasudare. Restano un bel film, un Tarantino diverso (e non per questo migliore o peggiore) e degli attori da applausi. Che non è poco ;)

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  2. A Tarantino piace divagare, e anche te. Almeno in questo post. ;)
    Dentro questo film ci sono tutti i suoi pregi e pure i suoi non numerosi difetti (la sua fissazione per il western per me è tra questi). Si è trovato a viaggiare indietro nel tempo, nel suo adorato 1969, e ha perso di vista quello che voleva raccontare. Che poi forse non c'era una cosa specifica che voleva raccontare. Voleva fare un salto nel 1969 e basta. :)

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  3. inoltre non perdere di vista i buoni https://cineblog01.gdn film, non ce ne sono così tanti ...

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