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29 giugno 2021

The Underground Railroad

Mondo Serial

Si parlava di ferite recenti e ancora sanguinanti, con l'America che cerca di farci i conti attraverso i film.
Si parlava del campo di prigionia di Guantánamo, con The Mauritanian.
Ma c'è una ferita forse insanabile, con cui di certo gli Stati Uniti dovranno fare i conti per sempre: lo schiavismo.
E ora che Hollywood non è più so white, lo spazio per parlare di quel passato remoto ma mai dimenticato, che ancora si ripercuote sul presente, è sempre più ampio.
Salutata già come un capolavoro, la miniserie del premio Oscar Barry Jenkins basata sull'omonimo romanzo di Colson Whitehead, è arrivata senza troppo clamore da noi, su PrimeVideo.


Dieci episodi della durata variabile ma che perlopiù si aggira sull'ora.
Dieci episodi per dieci tappe, che la schiava in fuga Cora si trova a dover affrontare, in cui si deve adattare, inseguendo il fantasma della madre ma soprattutto la libertà.
Tappe a cui arriva tramite una rete ferroviaria sotterranea, progettata e portata avanti da altri schiavi in fuga e da bianchi dalla parte giusta della Storia, che collega il sud al nord, che dà speranza a anime straziate, con i tempi, le leggi, che però possono cambiare da un momento all'altro negli Stati che percorre.
A darle la caccia, il beone, presuntuoso, alcolizzato Arnold, ruolo che calza a pennello a quella faccia da sberle di Joel Edgerton.
A scappare inizialmente con lei, Caesar.
Ma la fuga, il trovare un posto tranquillo, non è facile. 
Non negli Stati Uniti di fine '800, dove da Stato a Stato gli schiavi potevano essere integrati ma sterilizzati, essere fuori legge e impiccati senza troppe cerimonie, avere il loro pezzo di terra, almeno finché all'uomo bianco andava bene.
Per ogni tappa di Cora, nuovi incontri, altre storie, con destini che si intrecciano e che con lei, come lei, rischiano tutto.


Sangue e morti, paura e possibilità, in una caccia al topo straziante anche per lo spettatore
Perché sì, l'occhio di Barry Jenkins è quello lirico e poetico che me lo ha fatto perdonare per aver soffiato l'Oscar a La La Land con il suo Moonlight (anche se, alla lunga, quale dei due è rimasto?). Ogni scena sembra un quadro, ogni dettaglio, di luce, di colore, di abito, è studiato per far sussultare e la forza nella stanchezza, nella disperazione e nella volontà che Thuso Mbedu emana si fanno sentire.
Ma in tutta onestà, 10 ore per questo racconto di fuga, sono tante, troppe.


Non di certo adatto al binge watching -e probabilmente nemmeno alla stagione estiva- The Underground Railroad è a livello tecnico una delle miniserie più complete, ma alla lunga, la sensazione è che si eccede.
Ci si stanca di quei lunghi piani sequenza, di quei momenti musicali, di sguardi in macchina ad accusare e segnare, di fughe improvvisate e di quel lirismo che si fa via via sempre più pesante, fino ad un finale aperto e non così soddisfacente, nemmeno nei suoi flashback passati.
Ennesima beffa.


La violenza c'è, dura e difficilmente digeribile come c'era da aspettarsi, ma è meno pornografica di Them.
Il pensiero non può però che correre a un altro premio Oscar, a quel 12 Anni Schiavo che facendo leva sull'occhio altrettanto attento e poetico di Steve McQueen tornava dopo tanto a parlare di schiavitù.
Forse lì la vicenda -vera- di un uomo libero fatto schiavo funzionava meglio, qui nonostante i sogni ad occhi aperti di Cora, la creazione magica di una ferrovia che sembra un filo di Arianna con cui preservare destini, sembra proprio la storia a non avere la stessa presa, diluita e dilazionata com'è.
Condensata, asciugata, sarebbe stata indimenticabile come lo sono certe scene, prese di per sé.
Invece, la stanchezza è tristemente in agguato, sì, anche quando l'argomento è così importante l'attenzione può calare.

Voto: ☕☕/5

6 commenti:

  1. La inizierò presto. Ho rimandato subodorando una scontata pesantezza e, soprattutto, nutrendo dubbi verso il romanzo: che faccio, leggo prima quello? Non so.

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    1. Eh, la pesantezza c'è tutta, non posso negarlo. E forse il caldo di quest'estate non è la sua stagione più adatta. Sarei curiosa di un confronto con il romanzo, forse lì la divisione in capitoli funziona meglio.

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  2. Partenza notevole, poi tutti i difetti che hai elencato mi hanno veramente fiaccato e l'ho abbandonata estenuato.

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    1. Capisco benissimo, la tentazione era alta anche per me ma sono riuscita a resistere. Visto il finale mozzo, però, non so se ho fatto bene...

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  3. Bellezza e pesantezza.
    Sono fermo a metà. L'estate però non invoglia esattamente a proseguire il viaggio in questa ferrovia sotterranea...

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    1. È stata davvero dura arrivare in fondo. Non so se l'autunno avrebbe giovato, ma che fatica!

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