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18 settembre 2023

Il Lunedì Leggo - Ologramma per il Re di D. Eggers

A quel genio struggente di Dave Eggers vorrò sempre bene.
Anche se ho capito che i suoi protagonisti urtano i miei nervi.
Sono incapaci di organizzarsi, di gestire tempo e denaro, di muoversi nel mondo senza fare danni.
Così era lui, da giovane orfano alle prese con un fratellino da crescere, così erano Will e Hand impegnati in un vero e proprio giro per il mondo che diventa una tragicommedia.
Così è Alan Clay, venditore di stanza momentanea in Arabia Saudita, divorziato e sull'orlo della banca rotta che deve riuscire a vendere il suo brevetto per ologrammi al re. Solo così potrà saldare debiti, permettere alla figlia di rimanere al college, respirare un po'.


Ma nonostante queste pressioni che si coalizzano contro di lui in una ciste enorme alla base del collo che non può fare a meno di toccare, continua a non sentire la sveglia, a non riprendersi dal jet-lag, a sbronzarsi con dell'alcool illegale e a non vedere, soprattutto, come tutto sia una grande truffa. Una città costruita nel cuore del deserto che vuole essere all'avanguardia ma in cui il re non mette piede da mesi, una tenda, soffocante e senza WiFi dove lui e i suoi giovani collaboratori sono chiamati ad aspettare, aspettare e aspettare, il cibo che manca, il mare che sembra un miraggio, la sua inadeguatezza evidente a tutti.
È un personaggio strampalato questo venditore che non ha il tocco, osteggiato pure dal padre che lo accusa di aver innescato l'attuale crisi economica. Non capito da una moglie che chiede solo soldi e da una figlia a cui non sa scrivere una lettera di scuse.
Forse, in quell'Arabia Saudita fatta di regole che continuano ad essere violate, di illusioni di ricchezza che nascondono la povertà più misera di chi è chiamato a costruirla, c'è tutta una metafora della sua vita. 
E anche molto di più.

C'è pure una certa denuncia da parte di uno scrittore giornalista come Eggers verso un Paese che 10 anni fa come oggi si fatica a inquadrare e difendere.
Più dimesso e più retorico, questo struggente genio è più il ritratto di un americano medio che capisce di non essere niente di più e di aver costruito poco. 
Una disillusione che va di pari passo a un re, che come un Godot di oggi non si manifesta nemmeno sottoforma di ologramma.

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