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3 ottobre 2023

I Cortometraggi di Wes Anderson

Colori pastello, simmetria, parlantine veloci, macchina da presa che si muove in modo geometrico.
Sì, è Wes Anderson.
Dallo stile riconoscibile, diventato un formato, copiato, amato e odiato.
Un regista che attira critiche e entusiasmi, che ha una folta schiera di fan riconoscibili, che richiama a sé grandi star in film che più per la storia, fanno parlare per il cast coinvolto.
Il 2023 è il suo anno.
Non solo un film in uscita presentato a Cannes di cui parleremo domani, ma anche il progetto per Netflix di quattro cortometraggi tratti da altrettanti racconti di Roald Dahl, adattati dopo l'acquisizione milionaria della Roald Dahl Story Company, il primo dei quali presentato a Venezia.


Colori pastello, simmetria, parlantine veloci, macchina da presa che si muove in modo geometrico.
Sì, è Wes Anderson.
Anche su piccolo schermo, anche in formato ridotto.
Quello che molti registi stanno riscoprendo per sperimentare, per contenere i costi e poter avere più controllo.
Quello adatto per dei racconti brevi che Wes adatta minuziosamente, il più minuziosamente possibile.
Il che significa creare dei set a scatola cinese, dare l'impressione di lunghi piani sequenza, di punti di vista che cambiano ma che proseguono l'azione.
E portare in scena il narratore onnisciente, che tutto descrive.


Set che non nascondono la loro natura di set, con addetti di scena che entrano in scena, l'immaginazione chiamata a fare la sua parte, quinte che si muovono, si aprono, si chiudono.
Insomma, una magia per gli occhi, più che per il cuore.
Perché il problema con i colori pastello, la simmetria, le parlantine veloci, la macchina da presa che si muove in modo geometrico di Wes Anderson è che sembra sempre più interessato alla forma che al contenuto, più a come raccontarla una storia che alla storia.

Ralph Fiennes (che interpreta anche Roald Dahl), Benedict Cumberbatch, Rupert Friend, Dev Patel, Ben Kingsley e Richard Ayoade sono i nomi coinvolti in questo progetto riuscito in parte, ma pieno di fascino.
Potevo forse evitare di farne una classifica?
Ovviamente, no.

The Ratcatcher


La storia di un viscido cattura-topi che un topo lo sembra.
La storia di come li cattura i topi, questo cattura-topi, e di come ami raccontare storie su come si catturano i topi.
Sfidando e istruendo un benzinaio e un giornalista testimone che racconta la storia.
In questo caso, il set è ridotto all'osso, fondali dipinti, una via a dividere due negozi, un fienile da osservare, un tunnel in cui guardare.
Ma fa capolino l'animazione a passo-uno, di un topo, ovviamente, che si anima o che ci viene chiesto di animare.
Viscido e macabro, non è ovviamente il mio preferito.


Poison


Un uomo che deve rimanere fermo immobile, il suo compagno d'armi che deve aiutarlo, un medico chiamato a salvarlo.
Il problema è un serpente, che si è infilato nel suo letto, che si è addormentato sul suo stomaco e che al minimo rumore potrebbe morderlo e ucciderlo.
Roald Dahl sapeva come mettere tensione, spaventando anche i piccoli lettori, e con un finale razzista, sapeva anche come infilare insulti razzisti nell'Inghilterra coloniale.
Ma qui interessa la messa in scena, anche in questo caso minimale, chiusa quasi tutta in una stanza in cui la macchina da presa gioca per inquadrare la paura, il nervosismo di Benedict Cumberbatch via via in punti di vista diversi.
Teso e ansioso, ma in 15 minuti si risolve tutto.


The Wonderful Story of Henry Sugar


Il cortometraggio più lungo, che sfora i 40 minuti, visto a Venezia.
Quello in cui Wes Anderson gioca di più, componendo un set a matrioska, fondali rimovibili, incastri sempre più strani per una storia strana.
Non così spettacolare, purtroppo.
Si scambiano i narratori, si alternano gli attori, e anche se la storia è quella che è, è una goduria per gli occhi innegabile.
Ne avevo parlato anche QUI.


The Swan


Una storia di bulli e di un bullizzato.
Di un cigno che muore e di uno che nasce.
Di una violenza crudele che resta invisibile, solo raccontata, solo mostrata nelle sue conseguenze, sullo schermo.
Rupert Friend è il protagonista, in tutti i sensi, e a differenza di Dev Patel, si fa le vene grosse per star dietro ai ritmi della parlantina richiesta.
Ma in un set fatto di campi di grano che si aprono e che ci circondano, in cui muoversi e da cui uscire, in un bambino che viene sporcato di sangue, legato e fatto uscire di scena, c'è la storia, che pulsa.
Una storia triste, con la sua morale, che fa la differenza anche là dove la messa in scena è così curata.
Un cuore, anche se spezzato, finalmente c'è.

3 commenti:

  1. Siamo proprio diverse! La mia classifica è totalmente invertita e purtroppo, per la prima volta, mi sono trovata a provare un po' di noia fastidiata davanti a delle opere di Anderson.

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    1. Mi sa che la tua vena thriller si è fatta sentire, i racconti a tinte più fosche mi sono sembrati i più deboli a livello tecnico, ma capisco il fascino.

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  2. Non sapevo di questo progetto, che non mancherò certamente di vedere ;)

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