Pagine

12 giugno 2024

Kinds of Kindness

Andiamo al Cinema

Yorgos è tornato.
È tornato dopo appena 5 mesi dall'uscita in Italia di Povere Creature.
È tornato a Cannes dopo essere stato a settembre a Venezia, e in entrambi ha portato a casa dei premi (il Leone d'oro e la Palma a Jesse Plemons).
Ma soprattutto è tornato a scrivere con Efthymis Filippou, collaboratore storico delle sue sceneggiature.
E si vede.
Se per i suoi successi commerciali e internazionali La Favorita e Povere Creature si era affidato ai copioni di Tony McNamara, qui ritorna a quell'umorismo macabro, a quelle situazioni al limite e a quel modo particolare di pensare e immaginare storie che avevano caratterizzato i suoi lavori in Grecia.
Prima di tutto, Kinds of Kindness è un film ad episodi.
Tre per la precisione, titolati in base alle azioni che il criptico personaggio R.M.F. fa e a parte la sua presenza, non propriamente collegati.
Si ripete il cast, invece, in ruoli diversi.


Mentre R.M.F. muore, il resto dei personaggi vive sotto i rigidi comandi di Willem Dafoe, capo e amante, che dispensa una routine quotidiana da seguire e da cui non si può scappare. Né per morale né per omissione. Pena, la squalifica da un progetto che sembra espandersi in tutta la città. Ma se Robert non vuole ucciderlo R.M.F.? Che vita si vive senza una moglie, senza un capo, senza più ordini?

Mentre R.M.F. vola, invece, abbiamo Daniel disperato per la scomparsa della moglie, dispersa in mare, forse in un'isola deserta. È lì che viene trovata, sopravvissuta in modi che Bayona conosce bene, non sembra la stessa. Non è la stessa per Daniel, che la evita, che la mette alla prova, che sembra in preda a un delirio che lo psicologo della polizia non sa tenere a bada. E se avesse ragione?

Mentre R.M.F. mangia un sandwich, infine, siamo dentro a un'altra setta capitanata da Willem Dafoe, unico assieme alla moglie a poter giacere con gli adepti chiamati a trovare il nuovo Messia capace di resuscitare i morti.


Dentro questi deliri, dentro a episodi dallo spunto assurdo, al limite, c'è una certa ossessione per i corpi e per il sesso, per le gentilezze del caso che sono in realtà degli atti di fede.
Ciechi, verso chi dà ordini, sadici, verso chi non è chi dice di essere, estremi, verso chi cerca la salvezza.
Si indossano maschere per scappare da se stessi, per compiacere gli altri. Per vivere.
Il limite buoni/cattivi qui ha poco senso, ha senso semmai chi mette in discussione questi atti e chi ci si abbandona, ma come mostra Emily nell'episodio finale, i luoghi sicuri chissà quali sono. Una famiglia abbandonata? Una setta dai modi strani?
L'umorismo c'è, ed è quello straniante e folle che regala risate amare e dubbiose: davvero sto ridendo per un uomo investito? Di un dito tagliato? Di un filmato porno? Di una guida spericolata? 
Sì, è un umorismo macabro e nero, spesso nel senso letterale del termine
Le zampate ci sono, e fanno parte anche di una colonna sonora ammiccante che parte già nei titoli di testa con gli Eurythmics e arriva nel finale con COBRAH, e ci sono gli attori, ovviamente.


Emma Stone ha ormai piena fiducia nel regista e piena coscienza del suo corpo, che cambia, mostra e muove a piacimento. Willem Dafoe con la sua fisicità strana continua a fare il dio della situazione ed è quindi Jesse Plemons, premiato non a caso a Cannes, a prendersi gli applausi per la sorpresa delle trasformazioni, per i luoghi oscuri in cui ci porta. Ma ammetto che un occhio di riguardo ce l'ho per Margaret Qualley, per come usa la voce, lo sguardo, il corpo.
Completano il quadro Joe Alwyn, Hong Chau, Mamoudou Athie e un cammeo di Hunter Schafer.

Tutta questa serietà nello scriverne per dimostrare che l'entusiasmo non c'è.
Non dopo 164 minuti che pesano anche per la divisione in episodi, e viene da pensare com'è che visto il panorama televisivo di oggi non si sia pensato a una distribuzione al cinema sì, ma come serie TV antologica.
Meglio averlo visto su grande schermo, certo, meglio aver apprezzato la fotografia dalla grana grossa, i colori pastello e accesi, i costumi vintage, le case ben arredate e il modo in cui si decide di posizionarla la macchina da presa.


Saranno state le aspettative dopo Povere Creature a fare la differenza, è quasi scontato ammetterlo, ma la sensazione di un esercizio di stile, di un divertissement mentre Povere Creature veniva montato, fatica ad andar via.
Certo, avercene di divertissement girati e interpretati così, ma se devo guardare a quel che alla fine mi hanno lasciato questi episodi, fatico a trovarlo.

Voto: ☕☕/5

6 commenti:

  1. Vado domani. E, a malincuore, a metto a voce bassissima che nemmeno Bella Baxter, nonostante Emma Stone, ha lasciato in me grandi strascichi a quattro, cinque mesi dalla visione...

    RispondiElimina
    Risposte
    1. A Bella e a quello strano mondo che ha conosciuto penso ancora e ancora lo vedrei. Questo a una seconda visione mi risulterebbe più indigesto, di sicuro.

      Elimina
  2. Boh, forse sono io che non ho sense of humour, ma davvero non sono riuscito a cogliere neanche un grammo di ironia. Tre episodi molto discontinui (uno bello, uno orribile, uno interessante) per lanciare uno sguardo "esterno" sulla società americana di oggi. Ma niente che non sappia di già visto. Da vedere, ma senza troppi entusiasmi.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Forse mi ha fregato l'entusiasmo e non sapere nemmeno che era un film a episodi, però qualcosina di più me lo sarei aspettato lo stesso.
      Quanto all'ironia, io e il mio umorismo nero abbiamo sghignazzato qua e là fra un una leccata di sudore e un filmato porno come post dessert.

      Elimina
  3. Temo anch'io la mezza delusione dopo l'enorme Povere creature!, però chissà...

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Il bello e il brutto di un film a episodi è che può esserci quello che funziona e quello che non convince. Chissà come sarà la tua classifica.

      Elimina