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2 dicembre 2025

In Breve: The Beast in Me - All Her Fault - A Man On The Inside

Un po' crime e un po' guilty pleasure, un po' drammatiche, un po' esagerate e un po', per fortuna, comiche.
Tre serie TV su cui indagare:

The Beast In Me

Il Caso: una moglie scomparsa nel nulla e poi pure un colpevole di omicidio stradale che alla scrittrice Aggie Wiggs ha portato via il figlio, scomparso nel nulla. A collegare i due casi, lei, che si trova come vicino di casa l'imprenditore Nile Jarvis e che su di lui decide di scrivere un libro, superando il blocco dello scrittore che il lutto aveva causato, portandola a sospettare e indagare fuori e dentro il privato di Nile, in un'amicizia pericolosa, in un labile confine tra l'attrazione verso il suo potere e la sua intelligenza e la paura verso chi ha la capacità di rimanere impunito.

Chi indaga: Aggie, appunto, in modo rischioso e un filo ossessivo, cercando indizi e memorizzando password come la migliore delle spia, ma anche Brian Abbot, agente dell'FBI come da prassi stropicciato e tormentato dai sensi di colpa e che della scomparsa di quella moglie ne ha fatto un'ossessione.


Chi c'è: ci sono Claire Danes e Matthew Rhys, due ex spie televisive che finalmente fanno il grande salto per il pubblico generalista di Netflix. Ma per chi li ha conosciuti come Carrie Mathison o come Philip Jennings, non stupisce l'ottima prova, vuoi di mento tremulo, vuoi di sguardo inquietante, e la chimica fra i due è notevole, anche se per fortuna mai di natura sessuale. C'è poi una irriconoscibile Brittany Snow, la solidità di Jonathan Banks, e alla regia di metà degli episodi, un Antonio Campos ormai abbonato al genere. 

Funziona? Più della media dei vari crime, un filo meno del previsto visti i nomi coinvolti.
Abituati a serie TV fatte con lo stampino, qui il senso di qualità è più alto grazie ai dialoghi più che agli sviluppi, ma non toglie che certe facilonerie, certe scelte, siano esagerate e frutto del contratto Netflix. Serviva l'episodio flashback chiarificatore? A quanto pare sì, come sempre.
Spiace poi che la star dei primi episodi, il cagnolino Steve, scompaia dalle scene, ma almeno nel metterci dentro la vita di questi privilegiati, nel raccontare il dolore e l'ossessione, pur mancando l'originalità, c'è la bravura degli attori.

Voto: ☕☕½/5


All Her Fault

Il Caso: una madre che va a prendere il figlio a casa di un amichetto e non lo trova. L'indirizzo è sbagliato, nessuno risponde al numero di telefono e di suo figlio non c'è traccia: dov'è finito?
Quella che sembrava una dimenticanza di una madre impegnata a tornare al lavoro è in realtà un caso di rapimento ben architettato in cui tutta la famiglia diventa sospettata, e in cui viene trascinata anche la famiglia che quel figlio doveva ospitarlo per la merenda.
Quanti segreti possono nascondere tutti insieme?

Chi indaga: oltre una madre affranta dal dolore che cerca indizi e cerca crepe nella sua famiglia, c'è un agente dell'FBI (Michael Peña) padre a sua volta che guarda con sospetto questa famiglia privilegiata che non riesce a godere in serenità del suo privilegio. Un personaggio un filo troppo buono, un filo troppo finto, ma tant'è, non che il resto dei personaggi esuli dai cliché.


Chi c'è: c'è la madre affranta Sarah Snook che esagera con le urla, c'è il marito Jake Lacy che ha sempre la sua faccia da sberle, c'è la zia Abby Elliott isterica e irritante, c'è lo zio Daniel Monks con disabilità e voglia di indipendenza, c'è l'amico Jay Ellis con una ludopatia da curare e c'è Dakota Fanning, madre che si sente in colpa sempre, per quel bambino sparito, per il lavoro che la porta via da suo figlio. Infine c'è Sophia Lillis, babysitter con un istinto di maternità allarmante. Ci sarebbe insomma un cast di grido per cui fare il tifo, ma la verità è che a fatica si sopporta qualcuno di loro chiamato a esagerare i tratti della casellina in cui sono confinati.

Funziona? No, mai.
O meglio, dopo i primi minuti tesi e riusciti, tutto prende una nota così drammatica da far pensare a una parodia delle classiche serie crime, che sui rapimenti di minori sguazzano, basterebbe la colonna sonora enfatica e ingombrante a sottolinearlo. Purtroppo ci si prende fin troppo sul serio e fra urla, frecciatine al patriarcato, mariti despoti che entrano in scena solo per dimostrare che brutte persone sono e flashback che devono chiarire anche la più minima svolta per accompagnare lo spettatore più distratto si arriva alla fine con un colpo di scena che sarebbe anche un bel colpo di scena se non piovesse dal cielo. Niente ci aveva preparato al legame che lega rapitore e rapito, e pur rimanendo a bocca aperta si resta soprattutto delusi dalla scelta di una sceneggiatura che non ha messo qualche minimo indizio in più, preparato e reso credibile questa svolta.
Se gli attori esagerano nei toni, la serie diventa l'ennesima serie con una villa da invidia, con protagonisti ricchi e bellissimi e odiosi, come il più classico guilty pleasure incapace di essere però un minimo godurioso.

Voto: ☕/5


A Man On The Inside

Il Caso: in attesa di diventare ufficialmente un detective privato, Charles si infiltra al Wheeler College per capire chi è che ricatta il Preside colpevole di aver accettato la sostanziosa donazione del miliardario poco propenso alle arti, Brad Vinick. Fingendosi professore di Fisica, Charles troverà molti colleghi di cui sospettare e pure l'amore, quello per una professoressa di musica alquanto particolare e molto diversa da lui.

Chi indaga: Charles ovviamente, con il suo fare buffo e ispirato ai gialli di un tempo, ma anche la sua capa Julie Kovalenko che scruta nel passato della facoltà e chiede l'aiuto di una madre con cui aveva rotto i ponti.
E ovviamente, un aiuto arriva anche da Emily, la figlia di Charles, madre di adolescenti annoiati, annoiata pure lei dalla sua vita.


Chi c'è: ancora lui, l'inossidabile Ted Danson che a questo giro porta sul set la moglie Mary Steenburgen aumentando il romanticismo della stagione. Ci sono poi le confermate Mary Elizabeth Ellis e Lilah Richcreek Estrada, con Stephanie Beatriz a fare capolino, più le new entry Max Greenfield e Gary Cole. E c'è ovviamente Michael Schur alla creazione, garanzia di una scrittura fresca, di una comicità non banale, di riferimenti pop e qualche nonsense sempre gradito. Il personaggio di Jason Mantzoukas è fonte delle risate migliori.

Funziona? Sì, questi sono i gulty pleasure che cerco: leggeri e divertenti con un pizzico di commozione. L'episodio sul Giorno del Ringraziamento sembra un modo per diventare una serie comedy classica, con il caso che si mette da parte per indagare sul senso di famiglia. 
Se la prima stagione funzionava nel parlare di anzianità e lutto, qui si parla di ricominciare la vita amorosa e di rimettersi in gioco in modo più romantico, con un giallo d risolvere ovviamente.
Datemi altre stagioni così, grazie.

Voto: ☕☕/5

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