È il film che non ti aspetti dal circuito italiano.
Un film di genere: storico ma non semplicemente in costume, classico ma non per questo non originale, che parla di antichi romani ma non per questo è un kolossal.
Anzi.
Perché Il primo re è un film storico, sì, ambientato com'è nel 753 a.C., è un film classico che si basa su leggende, su testi tramandati che della fondazione di Roma raccontano ed è un film che dei romani parla, dei primi romani, non ancora latini.
Ma Il primo re è più di questo.
È un film pulp, crudo e violento, che la violenza non ce la risparmia mostrando ogni ferita, ogni fiotto di sangue, ogni colpo subito o dato. Ed è un film d'azione, per quanto rarefatta, che ha i suoi momenti migliori in battaglie e scontri, in corpo a corpo duri e ben coreografati.
Ed è sopratutto un film che vive di atmosfera, quella che crea con un lingua proto-latina creata appositamente, con scene e luoghi che si fanno magici e spettrali, con una religione che si insinua nel cuore e nelle paure degli uomini, e va a plasmare l'estetica del tutto.
La storia, come la Storia, è presto riassumibile.
I protagonisti sono Romolo e Remo, sono due orfani, ora pastori, travolti dal Tevere e dal destino, che alla morte decidono di dire di no, dando vita a una rivoluzione: liberando schiavi come loro, carne da macello e martiri in nome di un Dio fuoco.
E scappano, con i soldati di Alba Longa al loro seguito, con una foresta pericolosa a dividerli da terre libere in cui trovare la pace.
Questo il loro viaggio, questo il viaggio a cui, in un silenzio religioso, si assiste.
Un film che si fa quindi esperienza, che richiede attenzione e pazienza, in una rilettura storica che non perde di vista la Storia nonostante il pathos, i climax.
Esperienza che passa per una fotografia magica, con giochi di luci e ombre, di tagli e nebbia di una bellezza difficile da spiegare. In un'atmosfera ancestrale credibile, una ricostruzione che tiene conto di colori, movimenti, presenza fisica soprattutto.
E poi c'è lui, quel trasformista di Alessandro Borghi, sporco, smunto, provato e irascibile, incapace di cedere e di credere, che offre l'ennesima ottima interpretazione. Capace soprattutto di esaltare, di mostrare un carisma sotto quel sangue e quello sporco che anche se sfocia nella pazzia s'impone, pur lasciando al fratello Alessio Lapice il momento più carismatico nel finale.
Viene da porsi allora la domanda delle domande: Il primo re piace, convince, fa parlare di sé perché primo film italiano di questo genere o perché ha davvero valore? Il suo essere e ricalcare -con più sostanza, più serietà- serie come Spartacus o -con più solidità, meno noia- Valhalla Rising pur rimanendo ad uno scalino inferiore nella fattura, glielo si perdonerebbe se arrivasse da un mercato estero?
Sono domande che nascono spontanee, che hanno a che fare con la genesi e con quel giudizio e pregiudizio che il cinema italiano porta con sé.
Lasciando la risposta sospesa, dimenticandola e basandosi solo sul film in sé, posso dire che anche se non tutto funziona, anche se si poteva mantenere più solidità e più compatezza, questo Primo Re sa esaltare, sa avvincere lentamente e convincere all'improvviso. Crescendo dopo la visione più che durante, come i film impegnativi e non banali richiedono.
Voto: ☕☕☕/5
Visto qualche settimana fa, ma non ho ancora trovato il tempo per parlarne. Uno di quei film in cui è impossibile separare il lato tecnico, portentoso, dal resto. Anche se, almeno nel mio caso, la godibilità non è stata di casa. Ci voleva una sceneggiatura all'altezza della magia del protolatino.
RispondiEliminaPer una volta la fisicità ha preso il posto della sceneggiatura ed è andata bene così, anche perchè le poche parole che si pronunciano hanno un peso e un pathos non da poco. Visto in sala con un'età media alta, è stato uno spettacolo nello spettacolo, con sottotitoli letti ad alta voce e commenti continui. Ma per una volta, non così disturbanti.
EliminaSpero che di noia rispetto a Valhalla Rising ce ne sia molta meno, ma proprio mooolta meno, altrimenti potrei non reggere. XD
RispondiEliminaFare peggio sarebbe davvero difficile, diciamo che tempi morti ce ne sono, ma la prestanza di Borghi e il pathos della storia ripagano.
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