In questa quarantena ormai agli sgoccioli ho dato spazio ai documentari che da tempo volevo vedere, per rendere omaggio ad attori che amavo, a un musicista che dovevo conoscere.
Love, Antosha
(PRIME VIDEO)
Lo vedevo nel cast, e dicevo: ok, questo film fa per me*.
Protagonista di tante commedie romantiche, di film indie, di divertenti, piccoli progetti.
Pensavo di averli visti quasi tutti, ma in soli 27 anni di film ne ha girati 69.
Perché Anton è morto in un modo assurdo in un giorno d'estate del 2016, schiacciato dalla sua auto contro il cancello di casa.
Ricordo di averlo scoperto dai social, ricordo la tristezza, lo sgomento, di aver perso un attore capace di far innamorare di sé le più belle protagoniste, me compresa, di dare così tanta fiducia.
E scopro solo grazie a questo documentario fortemente voluto dalla famiglia, che la vita di Anton era già segnata.
Malato di fibrosi cistica, la sua aspettativa non era altissima.
Più di 27 anni comunque.
Ma non è la sola cosa che scopro in questo omaggio che, va detto, a tratti è fin troppo smaccato.
Si parte dall'infanzia, ovviamente, quella che ha visto i suoi genitori, star sportive di Madre Russia, fuggire da un antisemitismo in crescita e chiedere asilo negli Stati Uniti.
Si parte dai tanti video che lo stesso Anton girava in casa, filmini e filmacci, commediole e pseudo-artistici, in compagnia di amici o in solitaria.
Tutta questa esuberanza, notata dai professori, lo ha portato a partecipare a provini e per poi essere scritturato in TV a soli 11 anni (intenso e piccolissimo in E.R) e poi via via al fianco di attori famosi, da Anthony Hopkins a Frank Langella.
La prima parte del documentario è una sequela di elogi di registi, amici, attori concordi nel definirlo un'anima particolare, diversa, intelligentissimo e attentissimo sul set. La curiosità di capire come tutto funziona, come il suo personaggio pensa.
Ma la parte interessante è quella che ne rivela i segreti, non solo di una malattia che lo portava a fare esercizi di respirazione per due ore al giorno e a colpi di tosse ne forgiava gli addominali, ma anche di quelle fotografie che impressionano bellezze diverse, scovate nella wild side di Los Angeles, tra sex club e camere di motel. O la musica che scrive e porta sui palchi sempre di Los Angeles, senza per questo definirsi un musicista. O infine la fissazione per le liste, per i film del passato da vedere, studiare, analizzare.
La fama ormai tangibile grazie al ruolo nello Star Trek di J. J. Abrams, mostra anche la nuova famiglia che si è creato, quella con compagni di set che lo adorano, che nonostante la differenza d'età si sentono quasi minacciati dalla cultura che si porta appresso.
Sono le parole della ex Kristen Stewart o di una commossa Jennifer Lawrence, di un Chris Pine ancora incredulo e di uno Zachary Quinto ancora ammirato, di un Willem Dafoe paterno e di un Joe Dante alla pari a mostrare quanto mancherà Anton, non solo a me, fan dei suoi film, consapevole ora di averne da recuperare.
Se l'infanzia la sia analizza per bene, in questo documentario si corre in fretta invece di titolo in titolo, lasciando parlare questi colleghi e amici, senza bisogno di trovare una vera e propria storia da raccontare, se non quello che Anton era per loro.
Infine, ci sono una madre e un padre che l'hanno sempre sostenuto e accompagnato, consapevoli di poterlo perdere da un momento all'altro ma non di certo preparati ad una morte così.
Nelle loro parole, nelle lettere, nei biglietti, nelle mail e nei video che costituiscono l'osso di questo documentario, non si trova altro che l'amore.
Nota a parte: a leggere lettere, biglietti e mail dando così voce ad Anton è il suo attore preferito: Nicolas Cage.
*(I preferiti?
e nonostante le aspettative,
Like Crazy, con cui l'ho conosciuto)
Robin Williams: Come Inside My Mind
(HBO)
Sembra un passato recente ma in realtà era ancora un passato in cui si poteva stare sconnessi dal mondo per una settimana: senza internet, senza wi-fi se ci si muove di campeggio in campeggio, volutamente senza giornali.
Staccare da quel mondo per poter scoprire un'isola selvaggia e bellissima, tappa dopo tappa.
Così, la morte improvvisa di Robin Williams, il suo suicidio che faceva ancora più impressione perché compiuto da un comico, l'ho saputo solo dopo giorni.
Quando i più avevano già smaltito il lutto, condividendolo nelle loro bacheche.
E io?
Io che come tanti con Robin Williams ero cresciuta?
Io che al suo Peter volevo tanto bene, del suo Genio (anche se per me era Gigi Proietti) ne ero innamorata, io che la sua voce italiana (quella di Carlo Valli) l'avevo eletta come mia preferita, io che soprattutto le parole del suo psicologo Sean McGuire le conoscevo a memoria, come potevo crederci?
C'ho messo un po', ma ho pagato pegno con la visione di questo documentario, che cerca di raccontare un genio esagerato, un animo dirompente.
Lo fa avvalendosi di una montagna di materiale!
Dai primi stand-up hollywoodiani ai filmini di famiglia, dai dietro le quinte alle tante ospitate in TV o ai premi.
Guardatelo ai Critic's Choice Awards, vi prego!:
Ed è davvero tanto.
Troppo?
No, mai.
Vien da pensare che di documentari sulla vita di Robin Williams se ne potevano fare altri 10 con quello che è rimasto fuori.
Ma questo basta.
Perché scava, racconta, analizza.
Racconta di esordi in cui il suo essere unico viene notato, tra serate sold out, un programma tutto suo in cui si improvvisava e in cui forse più che Mork e Mindy era interessante vedere quello che si combinava a telecamere spente.
E poi i film, il successo, i figli, l'amore da parte degli altri artisti, le amicizie che nascono e continuano a crescere, con telefonate nel cuore della notte, scherzi a distanza con Billy Chrystal, con David Letterman, con Whoopi.
C'è di tutto.
C'è quella lampadina sempre accesa che lo capisci che è pure un sintomo di non volerla spegnere, di aver paura di quando questa si spegne, di quando i riflettori non ci sono più.
I problemi di droga, con la morte di John Belushi come campanello d'allarme, sono solo il primo faro che si punta sulla sua vita privata e sulla sua depressione.
Fino ad arrivare alla fine, a quel suicido che per molti resta ancora inspiegabile, a quell'andarsene improvviso che ha invece a che fare con quella luce che si sta affievolendo.
Le parole di amici, di famigliari, di compagni sul set, di registi che hanno avuto la fortuna di conoscerlo e di far parte della sua vita sono qui gestite in modo bellissimo, toccante.
Sarà difficile scrollarsi di dosso la sensazione che un grande se n'è andato, nel mio caso nel silenzio.
Ma è meraviglioso trovare un modo così sentito di rendergli omaggio.
"You're only given a little spark of madness,
and if you lose that, you're nothing.
Note, from me to you...
Don't ever lose that cause it keeps you alive."
Quincy
(NETFLIX)
Quincy Jones.
Un nome una leggenda.
A cui in questo caso si rende omaggio quando è ancora in vita.
Lo si fa andando a raccontare la sua storia ma soprattutto il suo presente, quello in cui gli è chiesto di organizzare la serata inaugurale del National Museum of African American History and Culture.
Quincy, partito letteralmente dal nulla e diventato leggenda dell'industria musicale, musicista ma soprattutto produttore, capace di comporre il blues più profondo come il rap più moderno, capace di collaborare da Frank Sinatra a Michael Jackson.
Se il presente si tinge di nostalgia con gli acciacchi che lo colpiscono e la calma che viene imposta al suo stile di vita esagerato, tra viaggi in giro per il mondo e una dieta non sempre seguita, è il suo passato quello che davvero interessa e che purtroppo non è raccontato al meglio.
Saltando parti, condensandole, per dare spazio ai problemi di salute e di organizzazione dell'evento, portandolo a rivivere i luoghi d'infanzia, a rivedere foto di una madre ingombrante con la sensazione che quella sarebbe la storia su cui insistere.
Ma va bene anche così, se a dirigere e produrre c'è la figlia Rashida Jones assieme ad Alan Hicks, interessati non al solito coccodrillo, ma a una celebrazione.
Ora dell'uomo che può dire "ok, chiamate Steve (Wonder), chiamate Barack (Obama), chiamate Colin (Powell)", e non ricevere mai un no, ne so qualcosa in più.
Prevedo parecchie lacrime, soprattutto per i primi due.
RispondiEliminaDato che negli ultimi tempi mi sono preso abbastanza bene con i documentari, non escludo una visione. Sperando non facciano soffrire troppo...
Fanno soffrire, ma in modo positivo: omaggiando per bene sia Anton che soprattutto Robin. Riscoprire la sua genialità e ridere fino alle lacrime è un modo bellissimo per ricordarlo.
EliminaUh, con i primi due probabilmente piangerei a dirotto. Segno, ma con le dovute attenzioni. Devo trovare il momento giusto!
RispondiEliminaLi ho visti a distanza, fortunatamente, perchè le lacrime non possono non farsi sentire.
EliminaMa valgono entrambi la visione, certi film di Anton nonostante wikipedia non li avevo mai sentiti.
Quello di Robin Williams penso di averlo visto l'anno scorso...o forse era un'altro? Comunque davvero un grande, perdita enorme. Mi interesserebbe quello su Anton, Quincy conosco poco, ma sarebbe bello conoscerlo di più ;)
RispondiEliminaQuincy è stata una scoperta, lo conoscevo pochissimo anch'io ma come documentario mi ha detto meno. Avrei gestito il racconto in modo diverso.
EliminaRobin mancherà, e grazie alla HBO vien voglia di andare a scovare tutti i video dei suoi spettacoli o discorsi.