Una data saltata.
Una data deludente al fast food in cui si è raggranellato gran poco.
Un bisogno di soldi.
Il fidarsi di un punk, di suo cugino, di una data in un posto mai sentito.
La scelta non proprio felice di iniziare un concerto in un locale naziskin con la cover di Nazi Punks Fuck Off dei Dead Kennedys.
Un telefono dimenticato.
Una foto scattata e il panico che sopraggiunge.
Quale di queste cose scatena il peggio? L'incubo?
Quale di queste scelte, opzioni del destino trasforma un semplice concerto in un locale nazi in una trappola da cui è impossibile uscire, in una sequela di sangue dove all'improvviso i morti, le mani mozze, la perdita degli amici diventano normalità?
Una in particolare?
Tutte?
Tutte probabilmente.
Green Room inizia tranquillo, con gli Ain't Rights in tournée, schiacciati insieme in un van fumoso e senza benzina, prossimi all'ultima data, all'ultima intervista, loro che sui social non sono, che ai social non credono.
Quella data sarà una delusione, quell'intervista metterà ad ognuno il tarlo di scegliere con quale band finire su un'isola deserta, e si finisce così per cercare di recuperare qualcosa in un locale isolato nei boschi, zeppo di nazi dall'aria sinistra (ah!), inconsapevoli che l'incubo è dietro l'angolo, dietro una porta dalla luce verde, da cui fuggire senza ferite, senza macchiarsi di rosso, sembra impossibile.
Sarà una caccia all'ultimo sangue, in cui muscoli sfidano intelligenza, in cui esperienza sfida istinto, in cui sopravvivenza sfida tenacia.
Un horror, un thriller, un film che non ti aspetti.
Out of the blue, si dice.
Anche se qui le sfumature verdi regnano.
Un inizio tranquillo, da film giovanile, da film punk, poi: l'ANSIA.
Chiusi dentro quella stanza, con un cadavere, con un energumeno, chiusi mentre fuori si programma e si decide la sorte, la morte.
Chiusi assieme a una Imogen Poots inquietante, lei sì a sangue freddo, assieme a punk stanchi che a tutto questo non si abituano, chiusi assieme a Anton Yelchin, che non demorde, s'ingegna, pur con quello scotch che gli tiene unito il braccio.
Ed è sempre lui il motivo di questa visione, sempre lui che manca e mancherà, che i film li sa scegliere così bene, tanto da essere elogiato pure da un certo Quentin Tarantino.
Anton, che per una volta non conquista la bella di turno, ma conquista ancora noi, che tratteniamo il fiato, stringiamo la poltrona, perchè lui possa sopravvivere.
Regia Jeremy Saulnier
Sceneggiatura Jeremy Saulnier
Musiche Brook e Will Blair
Cast Anton Yelchin, Alia Shawkat, Imogen Poots, Patrick Stewart
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Non me lo aspettavo, no, o forse me lo aspettavo tanto diverso e tanto meglio, visto le ottime critiche. Non mi ha detto granché!
RispondiEliminaPerò Yelchin ci manca e la Poots è freschissima (nonostante, poi, non stia proseguendo con il ripetitivo Roadies).
Non sapevo bene cosa aspettarmi anche se la solta horror già la sapevo, anche solo dalle locandine che avevo visto nella mia capatina a Londra in maggio. Una sorpresa -bella- lo è stato comunque.
EliminaRoadies lo metto da parte, le critiche non buonissime e il poco tempo permettono ad altre serie di superarlo, nonostante la Poots a cui si vuole un gran bene, sempre.
buono esercizio di genere per il regista, secondo me può fare molto di più
RispondiEliminaAnsia e claustrofobia è riuscito a trasmetterle, forse un po' più di mordente alla storia e ai personaggi non avrebbe guastato, ma il risultato rimane comunque un bel vedere!
EliminaE' in lista, spero di recuperarlo presto.
RispondiEliminaStaremo a vedere come andrà da me.
Nonostante uno stile piuttosto cannibale, potrebbe essere nelle tue corde... ti aspetto ;)
EliminaUn film out of the green, più che out of the blue. :)
RispondiEliminaIn ogni caso una piacevole sorpresa, in mezzo a tanti film tutti uguali.
L'out of the blue purtroppo già si sapeva, in un film sbalorditivo di suo come Victoria funzionava ancora meglio perchè inaspettato, ma comunque, da rimanere tesi e avvinti.
EliminaQuanto bene li sapeva scegliere i film, Yelchin?