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10 ottobre 2025

Una scomoda circostanza - Caught Stealing

Andiamo al Cinema

Prima è stato il film con Matt Smith dalla cresta punk e dal look punk.
Poi è stato il film in cui forse, chissà, guarda come fanno i piccioncini, era scoccata la scintilla fra Austin Butler e Zoe Kravitz.
Ma chissà perché non è mai stato "l'ultimo film di Aronofsky", un regista divisivo e discusso, capace di creare film-evento e che invece in questa promozione è sembrato scomparire tanto da farmi ricordare solo sui titoli di coda che il film appena visto era il suo.
Che ne è stato del clamore de Il Cigno Nero? E dei fischi e degli sberleffi per Mother!? E della resurrezione di Brendan Fraser con The Whale?
Aronofsky fa un passo indietro, per un film allo stesso tempo in linea con la sua estetica ma anche distante dalla traiettoria sperimentale e più riflessiva che stava prendendo.
È un film vecchio stampo, è un film sporco e nero, è un thriller criminale con l'uomo comune che si trova in mezzo a guai più grandi di lui che gli cambiano la vita e lo fanno venire a patti con la sua, di vita.


L'uomo comune in questione si chiama Henry "Hank" Thompson, fa il barista nella New York sporca e nera e ancora da ripulire degli anni '80, ha sulle spalle -ma verrebbe da dire sulle ginocchia- una carriera promettente come giocatore di baseball interrotta bruscamente da un incidente stradale che ha interrotto anche altro, nella sua vita. Il baseball continua ad essere al centro dei suoi pensieri, e tra una bevuta e l'altra, rimugina su un futuro di gloria ormai impossibile e sogna la vittoria dei suoi Giants nelle finali che si stanno giocando.
Di mezzo anche una ragazza, seria e preoccupata come può esserlo un paramedico che di fare l'infermiera anche in casa non ha così voglia.
La sua routine fatta di bevute e di sesso e di chiamate alla mamma, viene bruscamente interrotta dai malaffari del vicino di casa, che gli affida il gatto per scappare in Inghilterra e lo mette in mezzo ai suoi debiti con la mafia ebrea. Ma c'è anche la mafia latina, la polizia corrotta, una chiave nascosta, un gatto da salvare, minacce e pestaggi che mandano all'ospedale Hank, facendolo finire in una lotta d'astuzia e di velocità, tra vendetta e una tranquillità a cui sembra impossibile tornare.


Che sia un film sporco, Caught Stealing, l'ho già detto. 
E anche se intraducibile visto il suo significato legato al mondo del baseball, i titolisti italiani non gli hanno fatto un gran favore.
È sporco come l'appartamento di Hank, come le strade di New York, come gli affari di Russ. 
È sporca la colona sonora affidata agli Idles (citati da quel punk inglese di Matt Smith). 
È sporca una fotografia volutamente anni '80, ma è anche piena e ricca e ritmata per un film che sembra davvero uscito da un'altra epoca, e non solo per la questione "uomo comune finisce in guai più grandi di lui".
Prendi Black Rabbit come esempio, ambientato sempre a New York, ma nei giorni nostri, sempre con dei debiti di mezzo e la malavita a entrare a gamba tesa nella vita dell'uomo comune Jude Law.
Sono thriller contaminati, certo, che giocano con il fascino dei suoi protagonisti e l'ambientazione in cui si muovono.
Riuscendo a funzionare pur rimescolando temi e situazioni già viste, pur giocando con facili cliché.


Ci si affida al protagonista, quindi, e qui abbiamo un Austin Butler piacione e sveglio (anche se Hank poteva evitare 100 volte di farsi mettere in mezzo), che sembra trovare una traiettoria di carriera in questi ruoli sporchi ma buoni, vedi The Bikeriders.
Il resto del cast è notevole, oltre alla bella Kravitz che alza il livello ormonale, oltre a Matt Smith che poco si vede ma lascia il segno, ci sono Liev Schreiber, Regina King, Carol Kane, Vincent D'Onofrio, D'Pharaoh Woon-A-Tai e pure Bad Bunny e Laura Dern in piccoli e grandi ruoli che in una sceneggiatura densa di colpi di scena, inseguimenti, doppi e tripli giochi non smette di stupire. Anche se, ammettiamolo, la vera star del film è il gattone Bud/Tonic che da gattara non può che far battere il cuore e che Aronofsky stesso ha ammirato per le sue capacità recitative preferendolo a molti attori umani, o cani (ahah).
La sorpresa, quindi, è che non sembra un film di Aronofsky, anche se il materiale di partenza (una trilogia di Charlie Huston) era perfetta per Aronofsky.
A questo giro il regista evita manierismi, evita di strafare, si adatta alla storia, alla sua ambientazione solida e ci si attiene.
Non toglie luce al suo film, non vuole essere lui la notizia, e per un film classico e solido e che funziona, è la scelta giusta. Anche se l'Aronofsky artistoide un po' mi è mancato.

Trailer
Voto: ☕☕/5

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