2 agosto 2024

The Bikeriders

Andiamo al Cinema

Per una che si considera parte dei SAMCRO, un film come The Bikeriders poteva essere un motivo di gioia: finalmente tornare in sella a delle moto, ritrovare personaggi sporchi, rozzi, ma in fondo con un cuore.
Certo, qui siamo agli albori dei club di motociclisti in America, siamo negli anni '60 quelli della guerra in Vietnam, dei reclutamenti e dei dissidi, quella in cui si cerca un'identità e un'appartenenza. 
Sono ancora Club, di soli uomini con le loro donne, che si aiutano, di aspettano, si capiscono.
Non sono gang, non sono criminali, anche se alzano spesso il gomito e una rissa può scapparci.


La storia dei Vandals ce la racconta principalmente Kathy, la donna di Benny, l'outsider che rimane colpita dal fascino di un uomo che non chiede mai, che nemmeno sembra interessarsi agli altri, ai suoi sentimenti, ma che c'è. 
Intervistata da Danny Lyon che segue i Vandals, li fotografa e li registra con l'idea di farci un libro, vediamo la lenta evoluzione che è però anche un'involuzione di questo gruppo molto maschio, che più si allarga, più crea danni, con i nuovi membri più giovani e con meno cicatrici dentro, solo la voglia di far festa, a portare allo sbando i Vandals con le tragedie che non possono che arrivare, una dopo l'altra.


Com'è, allora, che The Bikeriders con una storia così e con un cast che comprende Jodie Cormer -sempre ottima a fare accenti- Austin Butler -sempre bravo a tenere il broncio- e Tom Hardy -meno magnetico del solito, nei panni del vecchio saggio- e in cui appaiono il fido Michael Shannon, Mike Faist, Karl Glusman, Boyd Holbrook e pure Damon Harriman da Justified, dicevo, com'è che un film così mi ha entusiasmato così poco?
La risposta è sempre lui: Jeff Nichols, regista con cui non riesco a entrare in sintonia capace di essere o troppo gelido nella sua messa in scena (Midnight Special) o troppo melenso (Loving).
L'idea per questo film gli girava in testa da una ventina d'anni, da quando aveva visto e letto il photobook di Danny Lyon. 
Farne un racconto a ritroso, un racconto raccontato dalle voci che Lyon ha intervistato e ha fotografato male non è, anzi. Il fatto è che la trama sembra evolvere lentamente, sembra essere fatta di scene -o scatti- di momenti non sempre coesi. Momenti grandi (come il monologo di Shannon), altri molto più piccoli e estemporanei.


C'è freddezza, insomma, anche se non proprio gelida perché l'amore fraterno, l'amore di coppia, scalda alcuni momenti pur non facendo sentire appieno il lutto, il dolore, la fine di un'epoca.
Con i look dei motociclisti che poco sono cambiati in tutti questi decenni, non è nemmeno facile sentirli gli anni '60, e la colonna sonora di poco impatto non aiuta.
Il livello di testosterone è più alto che nei SAMCRO, ma le lotte interne non hanno lo stesso peso e soprattutto il Benny Butler non ha lo stesso sguardo spezzato del Jax di Charlie Hunnam.
È una lotta impari, lo so, ma il mio cuore continuerà a battere per i figli dell'anarchia.

Voto: ☕☕½/5

2 commenti:

  1. Ha la sfiga di far pensare a SAMCRO quando invece è più "The Outsiders" che boh "Easy Rider", non è un film impeccabile, ma avercene di filmetti con Michael Shannon così. Cheers

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  2. Dalle immagini potevano intitolarlo "Son of Sons of Anarchy".
    Comunque guardandolo cercherò di non pensare alla mitica serie... come no? XD

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