Venezia 79 - The Whale

Aronofsky è tornato, ed è irriconoscibile. 

Tanto quanto un Brendan Fraser appesantito da chili e protesi, spiaggiato come una balena in un appartamento buio, dal quale non può uscire, nel quale sta morendo. 

Anni di solitudine e di tristezza passati a ingozzarsi e ingrassare, stanno finalmente spezzando quel cuore già spezzato. 

Per questo richiama a sé una figlia che aveva abbandonato 8 anni prima, una figlia arrabbiata con il mondo e con lui, che lo offende, lo sfida. 

Per questo, un giovane predicatore bussa alla sua porta, o almeno, è quello che crede lui. In missione per salvarlo, in realtà per salvarsi.

A dirigere questa nave caotica e arginare i danni, un'infermiera amica il cui broncio dura poco, le cui battute taglienti sono le migliori. 

È Fraser però, a colpire, ad affondare, con l'umanità che il suo personaggio spezzato emana fin dalla sceneggiatura ma che sono i suoi sforzi, il suo sguardo, a rendere indimenticabile. 

E a portarlo di diritto nella stagione dei premi. 

Professore online dalla webcam perennemente rotta, cliente fidato di un pizzeria, vedovo pur sposato.

Il suo lento suicidio a suon di abbuffate, il suo ricordare i pochi anni di felicità, i suoi scontri con l'intensa Sadie Sink, non avevano bisogno di una colonna sonora pomposa e ingombrante, soprattutto nel finale altrimenti perfetto. 

Questo l'unico neo di un film claustrofobico ma pieno di momenti di luce, di un Aronofsky umano come il personaggio che racconta e che, si vede, ama quanto noi.