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12 novembre 2024

Hanno ucciso l'Uomo Ragno - La leggendaria storia degli 883

Mondo Serial

Ero la prima ad essere scettica.
Da una parte gli 883, che come potevano meritarsi una serie tutta loro? Perché loro, perché questo continuo andare a scavare nella memoria cercando di raccontare icone pop anzitempo?
Qualcuno lo ricorda il film dedicato a Gianna Nannini?
Dall'altra parte, la formula Groenlandia che di queste storie pop, più o meno conosciute, si nutre.
Sydney Sibilia dopo la sua Trilogia aveva già raccontato la storia di Erry e di Giorgio Rosa, e con Matteo Rovere ha prodotto quella su Riccardo Schicchi mentre nella serialità c'è stato spazio anche per Lidia Poët e Rocco Siffredi e non ultimo il caso Avetrana che tanto ha fatto discutere.
È un cinema molto più giovane, una produzione più rischiosa che sa di poter contare su storie pop per poi produrre anche storie più fosche (Il Primo Re, Mondocane, Delta, per dire) e che con queste pagine più o meno conosciute di storia italiana cerca di far leva sulla nostra nostalgia ma anche di raccontare l'Italia, oltre quelle figure. 
Uno svecchiamento -anche se ad opera di 40enni- necessario nel nostro cinema ancorato ai soliti nomi (Sorrentino/Garrone) e il poco spazio lasciato ai pesci piccoli.


Ammetto che arrivati al quinto titolo pop, inizio anche a sentire puzza di ripetizione.
Con l'affidamento alla voce narrante, con le soluzioni di montaggio e la recitazione che spesso sono figlie dei tempi dei social più che del cinema mi ritrovo a essere diffidente e spaventata.
Ma tant'è, tutti ne parlavano, tutti la osannavano, diamo una possibilità a questa serie dal titolo molto, molto ingombrante.
E quei tutti, questa volta, c'avevano ragione.
Non che non ci siano quei piccoli difetti, quella formula ben visibile in sceneggiatura di un racconto che si apre e si chiude con una voce narrante che fa domande e si dà risposte, con le emozioni pilotate per bene che però sempre pilotate sono.
Per fortuna, per noi e per gli 883, la loro storia ha davvero dell'incredibile.
E sa raccontare altro, come le canzoni degli 883.
Che affondano le loro radici nella vita di provincia, quella noiosa, quella grigia, in una Pavia dove il futuro sta nell'Università o sta nel lavoro in fabbrica, dove vedere i sogni svanire per una gravidanza imprevista, per un no che non si sa dire al fidanzato che ci rimarrebbe male, come si fa?
E come si fa a diventare famosi arrivando da questo niente, senza nemmeno saper suonare uno strumento?
La formula, in questo caso, sta nelle parole di Massimo Pezzali e in quel certo non so che, che ci aggiunge Mauro Repetto. Prima che sul palco -catalizzatore di attenzione con i suoi balletti-, spronatore di Max, voce dei cori, motivatore e colui che lo porta a non arrendersi.
C'è poi l'amore, come ogni storia che si rispetti, e c'è il successo che arriva improvviso, che arriva a stravolgere tutto ma anche meno di quel che si può pensare, a rendere già nostalgici di una stagione chiusi in tavernetta, a litigare con genitori e struggersi d'amore.
Ci sono le macchine, i bar, la sala giochi, gli esami e le vacanze che non arrivano, le serate passate a girare a vuoto, due discoteche e centosei farmacie.
C'è, insomma, tutta la nostra adolescenza e tardo-adolescenza, anche se sono di qualche anno indietro rispetto a chi gli 883 li ha amati alla follia da subito, inno generazionale più di un Vasco o di un Ligabue.


Sibilia lo sa, e aiutato alla regia da Francesco Ebbasta e Alice Filippi gioca con i cammei, con le star di Radio Deejay, gioca con le canzoni degli altri e con i momenti topici come la scelta di un nome, di un look o la composizione di quella canzone, che dà il titolo all'album e alla serie.
Elia Nuzzolo e Matteo Oscar Giuggioli giocano però meglio degli altri, riuscendo a non far diventare una macchietta i loro Max e Mauro, ad essere credibili ma diversi, senza per forza di cose giocare anche al Tale e Quale Show.
Anche questo merito va dato a Sibilia che nel cast ha preferito la somiglianza vaga all'aderenza, la bravura degli attori alla fotocopia incapace.
Ogni episodio è una sceneggiatura a parte, che parte e che finisce come un capitolo pur lasciando respirare i personaggi, ci si lascia coinvolgere dal Max narrante in tutte le prove e gli errori, i mesi che passano e le cadute del loro duo.
Oltre un inizio molto cervellotico come sembra cervellotico Max, non posso che non voler bene alla vita sfortunata di Mauro Repetto del secondo episodio.


Che vuoi dirgli, allora, a una serie che riesce a scardinare i pregiudizi e a farsi voler bene nonostante quella formula Groenlandia che spero possa essere aggiornata, evoluta, senza snaturarsi ma senza nemmeno ripetersi fino allo stremo?
Alla fin fine, posso dirgli grazie, per l'ennesimo bagno di nostalgia che non fa mai male in questi tempi malati di nostalgia, in questa ventata di freschezza che sa arrivare anche dalla serialità italiana che sa regalare momenti pop, storie pop, personaggi pop.
Il finale piuttosto amaro apre le porte a una seconda parte e a un secondo album che con il successo raggiunto difficilmente non vedrà la luce.
Le paure torneranno a farsi sentire, ma ci saranno gli inni cantati insieme a scacciarle.

Voto: ☕☕/5

2 commenti:

  1. Riesce a stare in equilibrio tra la biografia e la storia di due amici molto bene, senza la volontà di fare il finto documentario come altre biopic dedicate ai cantanti, e poi è appassionate, un "Buddy movie" con bei dialoghi che per una volta, si sentono. Quando vogliamo anche in uno strambo Paese a forma di scarpa possiamo non essere schiavi della presa diretta ;-) Cheers

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