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1 luglio 2025

The Bear - Stagione 4

Mondo Serial

Un antipasto che aveva bisogno di tempo per essere gustato appieno.
Una portata principale che aveva la carica, il sapore, così tanti ingredienti giusti tra cui decidere che ancora ci si cruccia.
Un intermezzo che lasciava decantare i tempi, scavando in quegli stessi ingredienti.
E ora quello che sembra un dolce amaro, una quarta stagione che ha il sapore dell'inizio della fine, in cui ritrovare sempre gli stessi ingredienti, sempre le stesse storie, cucinate in modo diverso. 
Con il rischio di annoiare lo spettatore meno attento, ma con la possibilità di soddisfare chi non vive di sola frenesia, di novità urlata, lasciando spazio e manovra di crescita a personaggi che finalmente stanno imparando a sentirsi, a comunicare.
Si respira un'aria diversa al The Bear e in The Bear.
Si deve.
Perché il rischio chiusura del ristorante è in agguato, dopo una recensione che stronca, dopo i conti che non tornano, i menù che cambiano e le dinamiche dietro i fornelli che devono essere aggiustate.
Ci provano, gli chef, con un countdown che li osserva e li giudica, con i ritmi che si fanno innaturalmente più calmi, cercando di venirsi incontro, di comunicare pur senza parlarsi davvero.


Ci prova, Carmy, a capire se vuole ancora andare avanti, confrontandosi con una Sydney insicura, che non sembra avere bisogno di lui, leader e chef naturale, ma non pronta a lasciare quella che è diventata una famiglia. Disfunzionale, ma pur sempre una famiglia.
Ci prova a recuperare con Claire, con quella normalità vissuta per un attimo troppo breve prima di ritrovarsi chiuso in una cella frigorifera, con troppi mesi passati per far bastare un semplice "scusa", e parecchio lavoro da fare per rientrare in contatto con se stesso.
Ci prova, con una madre che deve chiedere scusa, lei, per ricucire i rapporti, per il troppo amore, le troppe urla, la troppa tensione.
E noi osserviamo.
Osserviamo gli scalmanati e fuori controllo cuochi e camerieri di una semplice paninoteca cambiare in meglio, evolvere, diventando vuoi sommelier esperti, vuoi traino di un intero ristorante con pochi metri quadri di quella vecchia paninoteca, alle prese con un timer da battere, sperimentando ancora e ancora con dolci sempre più complessi o cercare di trattenere parolacce e temperamento, facendo apprezzare sempre di più Ebon Moss-Bachrach.


Gli ingredienti sono quelli, sono quei personaggi che abbiamo imparato ad amare e per cui continuare a tifare, ma questa volta la cucina è lenta, è attenta, lascia respirare questi ingredienti e questi personaggi.
È così che Bears (4x07) diventa l'anti-Fishes (2x07), una riunione di famiglia per un matrimonio in cui non si può non temere un'altra esplosione, in cui invece confrontarsi sotto un tavolo per tutte quelle paure che tolgono il respiro.
E il respiro finisce per toglierlo il finale.
In un confronto a tre che finisce in un abbraccio che da solo vale tutte le parole di 30 densi minuti, di chi già aveva capito tutto.
A questo giro, però, Christopher Storer sembra rallentare troppo, sembra avere momenti giusti, scene giuste, dialoghi perfetti, che siano confessioni a due o in gruppi anonimi, visite in case d'architetto o terapia dalla parrucchiera con un'undicenne, non riuscendo a trovare la stessa densità in episodi che non possono essere singoli, e che sembrano perdersi in un equilibrio non sempre a fuoco delle varie storylines.


Se la terza era stata ribattezzata la stagione di passaggio, di passaggio sembra anche questa, sarà che sono state girate in contemporanea. Con la scelta di Sydney tirata molto per le lunghe, il paventato cambio di contratto ancor di più e la temuta seconda recensione altrettanto.
Si dilatano i tempi, si urla meno, ci si confronta con maturità, e la sensazione è che qualcosa della magia delle urla manchi.
Come se ne fossimo diventati dipendenti, senza renderci conto che per andare avanti davvero, serve il silenzio, serve lavorare su se stessi.
Storer ci impartisce questa lezione, e lo fa con la grazia registica che lo contraddistingue, con la Chicago degli orologi e delle case d'artista che diventa ancora una volta un personaggio in più, anche la musica è sempre quella, dai R.E.M. ai Radiohead, dai Pearl Jam ai fomentanti Refused anche solo nei titoli di coda, con guest star che tornano (la solita immensa Jamie Lee Curtis, Molly Gordon, Will Poulter, Sarah Paulson, Josh Hartnett, Jon Bernthal, Bon Odenkirk, John Mulaney) e altre che fanno il loro esordio (Brie Larson, Rob Reiner), permettendoci di capirci qualcosa di più di una famiglia complessa anche nei suoi rami genealogici.
I momenti buffi arrivano improvvisi, merito più dei Fak che degli altri, con scariche di risate che continuano a renderla la comedy meno comedy per gli Emmy e i Golden Globes.


Scrivevo un finale identico per la seconda stagione: gli ingredienti possono sembrare gli stessi, ma cucinati a fuoco lento, lasciandoli respirare -ancor più a questo giro- danno vita a una ricetta migliore che colpisce e prepara per quello che probabilmente sarà l'ultimo giro.
Non è ancora annunciato, farà malissimo, ma la fame, c'è già.

Voto: ☕☕½/5

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