11 luglio 2023

The Bear - Stagione 2

Mondo Serial

La prima stagione aveva fatto faville in America: critici, pubblico, giurie unanimi a gridarne le lodi.
A ragione?
In parte, per me.
Perché se la serie sapeva immergere nello stress delle cucine, nel trauma del lutto, nell'ansia di sbagliare ancora il tutto in una famiglia caotica che si allarga in un ristorante che sta cadendo a pezzi, gli ingredienti risultavano troppi. Famiglie mafiose, parenti acquisiti, parentesi fuori da quel locale e dai nuovi assunti che rubavano spazio a quanto si stava costruendo.
Insomma, se il lato tecnico del montaggio serrato, dei primi piani esagerati e la bravura di attori che finalmente brillano agli occhi di tutti erano innegabili, il tiro si poteva ancora aggiustare.
Christopher Storer lo fa in questa seconda stagione dove niente è lasciato al caso.
Tutto si incastra alla perfezione, cambiando la narrazione e i protagonisti, lasciandoli respirare distanti da quei fornelli che si stanno smantellando.
The Bear deve aprire, un nuovo ristorante, che mira alle stelle, che si appoggia a uno zio finanziatore.
Ma questo significa migliorie in ogni dove, ispezioni da passare, permessi da avere.


E poi ci sono loro, i cuochi.
Con le loro storie, le loro famiglie, i loro bagagli ingombranti.
E il passato che bussa.
Fishes (2x06) è l'episodio di cui non si può non parlare, un flashback natalizio in piena estate che mostra tutte le disfunzionalità di una famiglia infelice a modo suo, che sfrigola, che sobbolle e che alla fine esplode.
Carico di momenti importanti, di dialoghi da incorniciare e di guest star d'eccezione (Jamie Lee Curtis, Bob Odenkirk, Sarah Paulson, Gillian Jacobs, John Mulaney e ovviamente Jon Bernthal) che dimostrano che eccezione sta diventando The Bear.
Pur nella sua perfezione, nella sua carica emotiva, non è il mio episodio preferito e già questo dimostra il livello raggiunto.


Mi struggo tra la perfezione nordica di Honeydew (2x04) con Marcus e Will Poulter, e Forks (2x07) ovvero la realizzazione di sé di un personaggio così ingombrante come il cugino Richie capace di mostrarci come si lavora in un ristorante di lusso al fianco di Olivia Colman, cantando Taylor Swift. Unico momento pop concesso a una colonna sonora graffiante che non sbaglia un pezzo, rimanendo fedele ai R.E.M. e ai Pearl Jam, allargando i suoi orizzonti e la mia playlist (la carica che mi danno ora i i Refused!).
Ovvio che i miei occhi restano puntati su Jeremy White Allen, sul suo non essere a fuoco, sulle sue distrazioni, sui suoi tormenti e le sue ossessioni, con il cuore che mi si spezza davanti alle insicurezze di una Ayo Edebiri che capisce di doversi fidare di chi affidabile non è.


Christopher Storer sapeva di avere fra le mani una serie da cui ormai ci si aspettava il meglio, e il meglio lo dà.
Nella scrittura, che colpisce e affonda a più riprese, a volte con una sola parola, con il nome di un piatto.
Nella regia, che si sofferma su sguardi, su mani, su piccoli gesti e sulla giusta luce per far brillare i suoi attori. Che si prendono carico di un peso importante, sostenendosi come sanno fare i loro personaggi.
Non lasciando indietro nessuno, dando ad ognuno la sua voce, il suo momento, 
Gli ingredienti possono sembrare gli stessi, ma cucinati a fuoco lento, lasciandoli respirare, danno vita a una ricetta migliore.

Voto: ☕☕☕☕½/5

1 commento:

  1. Per evitare spoiler a destra e a manca ho ceduto. Ma questa stagione è così bella che mi rivedrò tutto tutto con il giovine, chef dilettante di casa. E non vedo l'ora!

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