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C'è una mano.
E non c'è il suo corpo.
C'è una mano, che scappa, vaga per la città, affronta pericoli e disavventure, per ritrovarlo quel corpo.
C'è un ragazzo, Naoufel.
Che con quella mano ha lasciato scivolare via sabbia, ha suonato un pianoforte, ha girato il mondo su un mappamondo. Ha registrato suoni, voci, che non ci sono più.
Naoufel è ora in una grande città, in un piccola stanza condivisa con un cugino invadente.
Sognava di fare l'astronauta e invece consegna pizze.
Sempre in ritardo, sempre rovinandole.
Finché non trova una voce.
C'è una voce, che è quella di Gabrielle.
Che filosofeggia con quel portantino ritardatario e imbranato, che consiglia libri, che aiuta uno zio che aiuta Naoufel.
Naoufel e la sua mano iniziano così a lavorare il legno, a trovare un nuovo posto nel mondo, a sognare non più lo spazio, ma il Polo Nord.
E Gabrielle.
La poesia di
Dov'è il mio corpo è tutta qui: in un racconto quasi semplice seppur magico.
Con una mano macabra e libera che affronta topi, piccioni e ghiaccio per cambiare un destino.
La poesia è già nel titolo del romanzo da cui Jérémy Clapin ha tratto il suo film:
Happy Hand.
La poesia sta poi in quell'animazione speciale, fumettistica, che rallenta il tempo e i tempi, che fa dell'uso del colore parte della sua forza.
Un'altra parte sta in una colonna sonora altrettanto poetica, e soprattutto in un montaggio, in ricordi e sensazioni che si alternano in modo preciso, che lasciano senza fiato.
Che sembra davvero di sentire, di toccare.
C'è una mano.
C'è un corpo.
C'è la poesia.
C'è un film: breve e profondo.
Bellissimo.
Voto: ☕☕☕☕½/5