10 febbraio 2016

L’uomo che Cadde sulla Terra


Sembra strano, sembra ieri, ma è già passato un mese.
Sono la prima a non voler fare di una morte un caso, un dramma, un post sui social, ma quando se n'è andato David Bowie, con quell'eleganza che da sempre lo ha contraddistinto, una piccola parte di me si è ingrigita, la stessa che al pensarci, che al sentire le sue canzoni, che al sentire la sua Black Star risuonare dolorosa per la radio, ancora si sente grigia, o nera.
E sì che, lo ammetto, un album dall'inizio alla fine di Bowie non l'ho mai ascoltato (ma mi sto facendo perdonare), però David era David, o meglio Bowie era Bowie, affascinante e capace di lasciare il segno, sempre, con canzoni che sono di diritto tra le mie preferite di sempre.
È anche per questo che i soliti blogger hanno deciso di riunirsi oggi, perchè Bowie non è stato solo musica, o solo moda, è stato anche cinema.
Il suo esordio lo ha fatto proprio con L'uomo che cadde sulla Terra, nel 1976, un film che chiaramente e dichiaratamente gioca sulla sua ambiguità, su quella bellezza speciale e camaleontica, facendogli interpretare un alieno, caduto sul nostro pianeta, misterioso e seducente.



Thomas Jerome Newton caduto in un lago, riemerso, ha con sé brevetti innovativi che cambiano e cambieranno l'ingegneria e l'industria conosciuta, in poco tempo fonda una società  capace di monopolizzare il mercato diventando oggetto di interesse per un professore donnaiolo e per la CIA.
A rendere il tutto ancora più affascinante, il fatto che Thomas non si veda mai in pubblico, non si conosca, ma si nasconda dietro all'avvocato Farnsworth che ne gestisce gli affari, richiudendosi dapprima in un hotel sperduto del New Mexico, poi -dopo aver conosciuto la bella e provocante cameriera Mary-Lou- in una villa dove prosegue il suo studio della Terra attraverso la TV.
La sua potenza economica diventa però un pericolo, e la sua natura rischia di venire allo scoperto, compromettendo tutto.
Questa, in sintesi, la trama di un film che nella durata di 138 minuti si perde e si riprende, scivola in sperimentazioni, in tocchi di regia e in confusioni che lo rendono un trip dove voci si sovrappongono dove scene si alternano alla rinfusa, dove gli anni passano in un soffio, per tutti ma non per Thomas, non per Bowie.
Il vero problema del film è quindi nel volere troppo, e nell'inesorabile passare del tempo, che pur rendendolo un culto, non gli rende giustizia, frutto com'era di anni lisergici e rivoluzionari.
La fantascienza non la fa propriamente da padrone, in una storia a cui manca la profondità del cinema canonico, in una storia che se letta a posteriori su wikipedia, sembra essere chiara, se vista è invece annebbiata in confusioni e allungamenti.


A fare davvero la differenza, in tutta questa confusione che -ahimè- mi ha annoiato, è ovviamente lui: David Bowie, bello come solo lui sapeva essere bello, androgino, alieno, strano, con quella magrezza, quegli zigomi e e quei capelli color arancione.
Una figura magnetica, che buca lo schermo con una dolcezza disarmante, e pur sforzandosi parecchio in scene in cui esagera, si capisce come l'intero progetto di Nicolas Roeg sia pensato per lui.
A mancare, è però la sua musica, pur canticchiando, pur essendoci brani rock di Joni Mitchell o di Louis Armstrong, manca la sua voce, che sembrerebbe tornare nell'espediente di un album bianco di Un Visitatore.
Potevo scegliere un modo migliore, più appassionante e più nelle mie corde per ricordarlo e celebrarlo, ma vedere il suo timido esordio, vedere quello sguardo, quel sorriso, quel cappello a coprirne il volto che non invecchia, ha fatto valere la fatica della visione, e ora che il suo passaggio su questa Terra si è concluso, ci si sente tutti un po' più soli.

L'omaggio a David Bowie continua anche negli altri blog, andate a leggerli:

The Elephant Man (1980) su The Obsidian Mirror
ChristianeF. (1981) su Mari’s Red Room
Furyo (1983) su White Russian
Miriam si sveglia a mezzanotte (1983) su Combinazione Casuale
Tutto in una notte (1985) su Non c’è paragone
Labyrinth (1986) su Director’s Cult
C.R.A.Z.Y (2005) su Pensieri cannibali
The Prestige (2006) sul Bollalmanacco di cinema




9 commenti:

  1. Visto quasi vent'anni fa, quando ancora esisteva TeleMontecarlo. Grazie per aver riportato questo film alla mia memoria!
    P.S.E chi ce la fa ad ascoltare per intero Black Star, con la sua voce così dolente... ;-(

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  2. Roeg non è un regista facile, basta anche solo pensare a quel trionfo di A venezia un dicembre rosso... shocking!, quindi immagino la fatica che hai fatto a guardare fino in fondo questo film.
    Il cui incipit mi ricorda tanto l'inizio del meraviglioso Velvet Goldmine, che traspirava Bowie da tutti i pori e parlava di questa "spilla del destino" caduta dallo spazio, passata prima nelle mani di Oscar wilde poi in quelle dei più alti esponenti del Glam Rock...!

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  3. Un film forse prigioniero del suo tempo, ma comunque affascinante.
    Buon Bowie Day!

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  4. Film che mi affascina tantissimo, ad ogni visione ne colgo sfumature nuove. E Bowie qui è meraviglioso.

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  5. La tua opinione non è molto incoraggiante...
    Mi sa che per il momento me lo risparmio.

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  6. Non l'ho mai visto e la tua recensione non mi convince molto a vederlo... però mai dire mai!

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  7. Uno dei suoi migliori. Forse il migliore in assoluto. Qui c'è tutta l'essenza di Bowie. Non serve davvero altro.

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  8. mi è spiaciuta la sua dipartita, ma non posso dire di essere stata sua accanita fan... iniziai a vedere un film, che trasmessero su sky pochissime ore dopo la notizia della morte; un fantasy, che aveva lui come protagonista simil cattivo, canterino e danzerino... mmmh non che mi abbia del tutto soddisfatta alcunché, a parte le note cristalline della sua voce!

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  9. Lo eviterò anche io, temo, ma sulla bellezza del ''festeggiato'' non posso che darti ragione!

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