David Foster Wallace.
Un nome che è entrato nella mia vita tardi: suggerito da un amico, approfondito via internet, acquistato titubante in libreria il suo romanzo d'esordio -La scopa del sistema- e da lì amato, venerato.
Da allora me lo gusto a piccole dosi, una raccolta di racconti all'anno (quest'anno tocca a La ragazza dai capelli strani) visto che i romanzi scritti, in totale, sono solo i due già letti, il terzo -The pale king- è rimasto incompiuto e chiuderà, chissà quando, non troppo in là nel tempo, il mio viaggio con lui.
Il suo capolavoro riconosciuto unanimemente -Infinite Jest- l'ho divorato nonostante le 1280 pagine totali di cui 100 di note a piè di pagina, l'ho divorato con il sorriso dell'ammirazione sul volto, con la malinconia che velava gli occhi di tanto in tanto.
Perchè David Foster Wallace si è suicidato, nel 2008, e dopo la sua morte i suoi libri hanno acquistato inevitabilmente un significato nuovo, una luce nuova che illumina il suo malessere.
Così è stato anche per l'intervista che il giornalista e scrittore David Lipsky ha registrato per Rolling Stones all'ultima tappa del tour promozionale di quell'Infinite Jest tanto acclamato: all'indomani della morte dello scrittore, quelle ore di conversazione, di confessione e di confronto nonostante i 12 anni passati, dovevano per forza di cose andare al di là delle pagine patinate della rivista, ed uscire sotto forma di saggio, di biografia, di analisi, per cercare di dare un senso, di mettere ordine in quell'esplorazione di una mente fervida, creativa, geniale, ma attanagliata dalla Cosa Brutta (la depressione) che ha descritto in modo tristemente splendido nell'omonimo racconto.
Ora quell'intervista rivive su grande schermo, e rivive nella finzione, riportandoci in quel 1996 in cui Infinite Jest venne acclamato dalla critica e dai lettori più giovani, portando il rancoroso e invidioso Lipsky a volerne sapere di più sullo scrittore del momento.
Partire per il freddo e nevoso Illinois, accompagnare Wallace all'ultima tappa del suo tour promozionale in Minnesota, osservarlo e cercare di trovare una storia da raccontare.
E chi era David Foster Wallace?
Era un uomo semplice all'apparenza, timido ma egocentrico, ansioso e spaventato, felice ma allo stesso tempo impaurito da un successo allettante ma allo stesso tempo illusorio.
Era lo stesso ragazzo che aveva passato anni a bere, che era stato ricoverato per un tentato suicidio, lo stesso che all'università si divertiva e che ora viveva con due cani, senza un TV, la sua dipendenza più grande.
Il film è costituito tutto dai contrappunti tra i due, dalle lunghe conversazioni che riempirono ore di nastri, e che affrontarono sogni, incubi, speranze, fantasie, passioni... Passando con facilità dall'idolatrare Alanis Morrisette al parlare di quello che significa davvero il successo.
Quattro notti dense di parole, ma anche di emozioni contrapposte.
Quel Lipsy finisce per non sapere se idolatrare, invidiare, amare o odiare Wallace, Wallace non sa se fidarsi, se considerarlo un amico, se aprirsi a quel Lipsky in un gioco di controllo che anche quando esposto, non smette di alimentare le paranoie.
Quel registratore sempre al centro, sempre acceso, a disturbare, a catturare.
Finisce quindi che si entra nella testa di entrambi, di intervistatore e di intervistato, in un effetto transfert doppio.
Non siamo solo Lipsky che vuole e deve saperne di più, non siamo solo Wallace con le sue fissazioni, le sue debolezze.
Jason Segel ne dà un ritratto fragile e umano, Jesse Eiseberg e la sua perenne faccia da sberle, risulta perfetto per un ruolo particolarmente irritante, ma ugualmente umano.
Il tutto, lo si vede con quella malinconia che pesa negli occhi e nel cuore, consapevoli di cosa avverrà a 12 anni da quell'intervista, consapevoli che quella Cosa Brutta non abbandonerà Wallace, ma busserà più volte alla sua porta, in un'infelicità che non ha lasciato altra via di scampo.
The end of the tour mostra, spiega, filosofeggia sul lavoro dello scrittore e del giornalista, attraverso le musiche malinconicamente magiche di Danny Elfman, attraverso le parole più belle, e vere, attraverso un viaggio che solo in apparenza è verso l'esterno, verso la fine e verso il futuro, ma che è in realtà con noi stessi, per non sentirci soli.
Regia James Ponsoldt
Sceneggiatura Donald Margulies
Musiche Danny Elfman
Cast Jason Segel, Jesse Eisenberg, Ron Livingston,
Anna Chlumsky, Joan Cusack
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Davvero bellissimo. E, per me, a sorpresta, visto che Wallace - se non di nome - non lo conoscevo da vicino. In lista, ovviamente, tutti i suoi libri. :)
RispondiEliminaSono molto curioso, nonostante sia piaciuto molto al Cannibale.
RispondiEliminaDovrei recuperarlo a breve. :)
Da appassionata di Wallace immagino tu abbia potuto apprezzarlo ancora di più...
RispondiEliminaA me comunque ha conquistato del tutto, e a questo punto spero di tuffarmi in quell'Infinite Jest. Anche se le 100 pagine di note a piè di pagina mi spaventano più delle 1280 di testo vero e proprio. :)
Purtroppo non ho mai letto nulla di Wallace, ma il film mi ha davvero preso. E mi a invogliato a immergermi nel suo mondo.
RispondiEliminaDa amante di DFW ho apprezzato pure io il film, trovando Segel, che non conoscevo, davvero bravo.
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