15 novembre 2017

The Place

Andiamo al Cinema

Un tavolino in fondo ad un bar.
Sempre il solito cliente seduto, stanco, lì. Da mattina a sera. Dall'apertura -che non vedremo mai- alla chiusura.
Un enorme taccuino zeppo di appunti davanti a lui, una trafila senza fine di sconosciuti che lì si siedono, parlano, confessano. Lui scrive, ogni tanto, legge, altre volte.
Chi da lì si alza lo fa da arrabbiato, oltraggiato, stupito. Con la mente che corre, si vede, alla ricerca di un senso, di una soluzione.
Quello che fa, quell'uomo, dall'aria stanca e provata, è assegnare dei compiti.
Solo così il desiderio richiesto da chi davanti a lui si siede, verrà esaudito.
Solo così quella persona finiremo per conoscerla, per capire quanto in là si può spingere, per vedersi soddisfatti.



L'idea, di un tavolino di un bar, di un cliente fisso, di un compito per un desiderio, è di quelle intriganti.
Paolo Genovese dopo il successo senza precedenti di Perfetti Sconosciuti ha preferito giocare facile, prendendo in prestito l'idea dalla serie americana The Booth at the End, trasportandola a Roma, condensandola probabilmente, nel suo meglio.
Ma.
C'è un grande ma.
Un ma che nascerebbe anche senza sapere che l'origine di The Place sta nel piccolo schermo, negli episodi. Un ma che riguarda il tanto materiale, il poco approfondimento, la fretta che sul grande schermo si sente.
Assistiamo a una transumanza, a un continuo staccare da tavolino vuoto a tavolino pieno, da una storia all'altra, da un desiderio e un compito all'altro. Poco a poco, sì, queste storie si intrecciano, i desideri come i compiti trovano un senso, gli ingranaggi iniziano a girare, ma.
Ma resta un ma, un ma che vede la rappresentazione di The Place fuori luogo al cinema, più indicato un palco, un teatro, una puntata dedicata a questo o quell'altro, alla suora che cerca Dio, al cieco la vista, la moglie un marito amorevole, un padre un figlio.


I dettagli fanno la differenza, i dialoghi, le frasi taglienti, pure, e la scrittura di Genovese si sente.
Ma viene oscurata troppo spesso dalla musica, disturbante e altrettanto fuori luogo, che sottolinea ed enfatizza fin troppo o che si intromette a gamba tesa, e le note di Ain't no sunshine fanno pensare più ad un tentativo di "fare la scena cult" che altro.
Perché se l'azione si svolge tutta lì, su quel tavolino, è grazie alle parole, ai resoconti dei clienti che da quel tavolino usciamo, immaginando camere da letto, bar vegani, ville e stazioni di polizia, che li conosciamo meglio questi personaggi alla ricerca di un autore, di una direzione, disposti davvero a tutto pur di stare -apparentemente- meglio.
Non aiutano poi i tanti volti noti coinvolti, come se Genovese avesse preso dal mazzo quanto di meglio c'era (Valerio Mastandrea, Marco Giallini, Silvia D'Amico, Silvio Muccino, Alessandro Borghi, Alba Rohrwacher, Vittoria Puccini, Rocco Papaleo, Vinicio Marchioni,Giulia Lazzarini), portando lo spettatore a porre più attenzione al gonfiore della Ferilli o alla bellezza della Puccini, a chi altro si aggiungerà a cena, che alla storia dei loro personaggi.
Errori, insomma, cadute e scivoloni. Che vanno a rovinare quanto si sta costruendo, quando si poteva magari limare, colmare, meglio gestire, con più calma, magari.
Ecco.
La calma, quella che sembra avere l'ovviamente strepitoso Mastandrea, non ce l'ha un film che corre, troppo, alla ricerca del successo facile.


Regia Paolo Genovese
Sceneggiatura Paolo Genovese, Isabella Aguilar 
Musiche Maurizio Filardo
Cast Valerio Mastandrea, Marco Giallini, Silvia D'Amico, Silvio Muccino
Se ti è piaciuto guarda anche
Perfetti Sconosciuti, The Booth at the End

9 commenti:

  1. Lo temevo, ma resto comunque curiosissimo.

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    1. La curiosità ci sta tutta, e l'idea di partenza -anche se già la conosci- resta intrigante. Mi saprai dire ;)

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  2. l'ho visto ieri sera, e la cosa che mi sono detta, e che ho detto a mia sorella con me nella visione, è che sarebbe stato decisamente più adatto al teatro, perché il film si regge solo sul dialogo, e allora perché non vederlo da vivo?

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    1. Non è detto che un film girato in un'unica unità di luogo sia sempre adatto al teatro. "The Place" si regge sulla grandissima interpretazione di Mastandrea, che recita (anche) con lo sguardo, con il volto, con i tic, le rughe... la cinepresa indugia nei primi piani, scava dentro i suoi occhi, poi "stacca" sui particolari (la penna, l'agenda, il cibo) rendendo allo spettatore lo stesso disagio di chi si siede davanti a lui. Questo nel teatro non sarebbe possibile. Sarebbe certamente possibile rappresentare questo testo, ma stravolgendone la struttura e adattarla in un modo ben diverso

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    2. Io, come già Perfetti Sconosciuti, questo film me lo immagino perfettamente adattato al teatro. Mancheranno i dettagli, magari, ma il testo si presta benissimo, e magari trova anche più senso visto che l'inizio così schematico -tavolo vuoto-tavolo pieno su grande schermo stanca non poco.

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  3. A me non è affatto dispiaciuto, pur condividendo gli innegabili difetti che gli riconosci. Però, boh, ho notato tanta (forse troppa) severità da parte della critica riguardo questo film... che secondo me pone un tema importante: fino a che punto l'uomo può spingersi per ottenere una cosa che desidera e, conseguentemente, perchè l'uomo è così "accecato" dal desiderio da non prendere nemmeno in considerazione l'ipotesi che ci sarebbe anche una strada alternativa, ovvero quella di affrontare la vita per come è?
    Secondo me non è poco. Poi, è vero, i personaggi non sono tutti all'altezza (qualcuno, tipo la Ferilli, è perfettamente inutile), la pellicola è verbosissima, forse troppo lunga, la colonna sonora è un po' troppo "ruffiana"...
    Però, alla fine, è un film che a me ha fatto riflettere. E non lo trovo affatto scontato.

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    1. Il tema, come l'idea di partenza, non li discuto. Sono pieni di fascino e di profondità. Peccato che questa profondità, con le stoccate glaciali di Mastandrea, vengano coperte dalla musica decisamente ruffiana, e che purtroppo il gioco degli attori e delle sedie, -insomma, la struttura del film- copra la sua sceneggiatura.
      Onestamente, mi ha fatto riflettere durante la visione, negli intrecci più significativi, ma accese le luci e a ormai una settimana dalla visione, quasi me lo sono dimenticata. Un peccato.

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  4. Dopo il clamoroso Perfetti sconosciuti so già che resterò deluso, è inevitabile. Il più è sapere quanto deluso...

    Grazie per aver abbassato un po' le mie aspettative. ;)

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    1. O magari partendo con così basse pretese saranno i punti positivi del film -che ci sono, in ogni caso- ad avere la meglio sui negativi.
      Ovviamente, aspetto la tua opinione.

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