27 aprile 2024

George Harrison: Living in the Material World

Era lì, che mi aspettava dai tempi della sua uscita.
Ricordo le sale piene, le code, il tanto parlarne, la lunghezza fiume e la commozione che spingeva fan e non fan a riascoltare vecchie canzoni, a parlare ancora e ancora dei Beatles.
All'epoca, anche se si tratta di soli 13 anni fa, mi schieravo ancora dalla parte dei Rolling Stones. 
Più trasgressivi, più rock, più la loro musica nelle orecchie.
Non so quando tutto è cambiato, quando andando all'università ho iniziato a rilassarmi con le loro numero 1, quando mi sono convertita.
Di certo, ora alla fatidica domanda risponderei: i Fab Four.
Era lì che mi aspettava questo documentario, dicevo, e che mi guardava storto: com'è che avevo dato la precedenza a Get Back?
Com'è che lo avevo eletto serie dell'anno, com'è che finivo per parlarne entusiasta a ogni occasione, che se ci penso, ci sono ancora scene che mi danno i brividi, e Living in the Material World ancora non lo avevo visto?
Com'è che ho preferito Peter Jackson a Martin Scorsese?
Recupero ora, con ancora più ritardo, per prepararmi a una trasferta a Liverpool che, secondo i piani di un piccolo viaggio organizzato in fretta, mi vedrà oggi già a Manchester in realtà.


Se alla domanda Beatles o Rolling Stones ho risposto, non resta che dire chi è il preferito dei Beatles.
Nonostante la bellezza di Paul, l'aura di John, la simpatia di Ringo, io non ho mai avuto dubbi e ho sempre preferito i silenzi, le riflessioni e pure le canzoni di George.
Se la giocano Something e While my guitar gently weeps, anche se, lo so, come fai a lasciar fuori Across the Universe e Let It Be e Hey Jude
Già, come si fa.
Ma George ha sempre avuto quel fascino, quella bravura delle retrovie, quel cruccio anche nell'essere nelle retrovie che il documentario di Jackson ha mostrato.
E probabilmente lo stesso fascino l'ha avuto anche su Scorsese, da sempre alla ricerca di risposte spirituali, di conciliare il mondo materiale con quello religioso.
Ci ha messo 5 anni a studiarlo, con il suo esercito di montatori e ricercatori, alternando il lavoro a Shutter Island, ma soprattutto con il benestare della vedova Olivia Harrison che negli anni ha rifiutato offerte su offerte.
Si capisce com'è che, da spiriti affini, si sono trovati.


Scorsese va più a fondo, cerca in 208 minuti di ricostruire una vita intera e ovviamente è costretto a lasciare fuori molto, a riassumere e a far parlare le immagini, andando a pescare in un repertorio vastissimo, dando per scontati fatti, numeri, approfondimenti che qui non trovano spazio.
A trovare voce è però George, che commuove mentre si riguarda da giovane, che emoziona in un ricordo di John che non vuole certo dare in pasto alle telecamere, che pur essendo profondamente spirituale e religioso, lo è in modo così onesto e naturale da non sembrare il santone pazzo che in molti credono.
È stato lui stesso, poi, negli anni a raccogliere foto, lettere, documenti sapendo che un documentario simile sarebbe stato realizzato.
Parla la moglie, allora, parla il figlio, parlano Paul e Ringo, che spezza l'emozione di lacrime finali, che riesce ad essere il Beatles più sano, forse, quello con cui fare una folle serata.
Con George, invece, viene da immaginarsi passeggiare nel suo giardino a cui speravo si dedicasse più tempo, chissà com'è che negli anni mi ero immaginata buona parte del documentario dedicata a Friar Park, e invece c'è spazio per le esplorazioni in India, per i suoi concerti all stars, per le sue produzioni cinematografiche e ovviamente per quello che la vita gli ha riservato, tradimenti, ferite e rinascite.


Se la ricostruzione corre veloce per stare dietro a una vita ricca, come ogni documentario che si rispetti sono gli aneddoti, sono le passeggiate da cui esce una canzone immortale, sono gli inviti che trasformano una serata, sono le risate e gli occhi lucidi di chi racconta di un amico e di un collega.
Delle battute folgoranti, dei colpi di testa e dei colpi di genio.
Che invidia, che bellezza.
Chissà come saranno i già annunciati 4 film dedicati ognuno ad un Beatles diretti da Sam Mendes… io ne ho paura.
Con tutto quel che c'è, con quel che ancora ci sarebbe da vedere, preferisco far parlare i diretti interessati, sentire la loro voce, le loro canzoni, in documentari che ne rispettano la natura.

Voto: ☕☕☕☕/5

4 commenti:

  1. Beatles forever. Ci sono cresciuto e li ho sempre trovati più creativi degli Stones.
    Certo Martin non è mai breve nel raccontare tramite pellicola, ma qui ce ne sono di cose...

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Sì, averlo visto dopo Get Back rende tutto più veloce e meno approfondito, ma Jackson aveva altro materiale e la possibilità di portarci dentro in modo diverso.

      Elimina
  2. In un mondo di John e di Paul, tu sei... George Harrison :)
    Io invece preferisco John Lennon. E ai Beatles preferisco i Rolling Stones XD

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Gli Stones restano i rockettari dell'adolescenza, ora apprezzo di più le canzoni calme e riflessive dei Beatles, di George in particolare.

      Elimina