La solidità di Sicario la si percepisce dalla prima inquadratura.
Una solidità che non è solo nella trama, con il problema storico del cartello messicano da affrontare, con le indagini dell'FBI da seguire, con i traffici di droga e gli omicidi da scoprire.
È una solidità che sta soprattutto nella regia di Denis Villeneuve, che resta in quel di Hollywood ma resta nei margini, cambiando ancora una volta l'aspetto di un genere.
Già con Prisoners (il suo primo approdo in terra americana dopo i fasti canadesi di Polytechnique e La Donna che Canta) aveva ridefinito il poliziesco, girando attorno al personaggio del detective ombroso e geniale, un thriller dai toni tesi e densi.
Ora questi toni li si ritrova anche nel mezzo del deserto, in quel confine spesso labile e aggirabile che divide Stati Uniti e Messico in cui Fausto Alarcon impera a suon di sangue e spaccio. La livida fotografia blu lascia però il posto ad un sole accecante, a una natura inquadrata e mostrata con panoramiche dall'alto che lasciano a bocca aperta.
È su questi territori che conosciamo Kate Macer, una donna con le palle, una donna al servizio dell'FBI che è sempre stata sul campo: sfondare, perquisire, irrompere, anche nella casa apparentemente tranquilla di uno spacciatore, dove invece gli agenti dovranno affrontare più di una sgradevole sorpresa.
Ma è qui che Kate si fa notare, e viene così consigliata all'enigmatico Matt Graver come agente da utilizzare nella sua missione top secret, e quindi seguiamo Kate cercare di capire la sua destinazione, la sua missione, mentre intorno a lei ogni protocollo viene infranto, e la presenza del senza etichetta Alejandro è un'ombra da svelare.
Kate è i nostri occhi, come lei rimaniamo all'oscuro, rimaniamo disarmati e attoniti di fronte a una realtà tanto vicina quanto a sé, dove i fuochi d'artificio non sono certo gioiosi, e dove gli omicidi finiscono per essere quotidianità.
Le leggi non esistono.
I nostri occhi, così come i suoi, sono però ben attenti, e si allenano presto a non fidarsi di nessuno, a cercare una trappola, un raggiro, una pistola puntata alla nostra testa.
Villeneuve ci tiene sospesi, ci tiene in una suspense in cui l'assenza di una colonna sonora ci fa trattenere il fiato, per poi farci stringere i braccioli delle nostre poltrone appena questa attacca, con le sue note e i suoi ritmi sinistri che non promettono nulla di buono, incalzando ancor più una tensione via via più palpabile, più solida appunto.
Il ritmo in Sicario è sospeso, è lento e si dipana in spiegazioni necessarie e in scene d'azione che scaricano la nostra adrenalina, dalla prima, che esplode letteralmente, all'ultima, partita utilizzando come in Zero Dark Thirty la visione notturna e il punto di vista del soldato, ma superando questo originale, soprattutto quando il punto di vista cambia, e non solo quello del soldato in questione, ma quello di Kate stessa, che abbandoniamo, per seguire Alejandro, per trovare finalmente l'obiettivo di questa missione.
La macchina da presa si innamora di Emily Blunt, del suo profilo, del suo sguardo, dei suoi lineamenti, e ce ne regala ogni immagine quasi al naturale, forte e fragile, eroina pura costretta a sporcarsi. E se Brolin gigioneggia, del Toro fa il macho che non deve chiedere mai.
Così Villeneuve ci frega e ci ammalia ulteriormente, mantenendo lento il suo ritmo, mantenendo orizzontale il suo stendersi: pochi gli exploit, tanta la solidità.
Anche in quel finale, tristemente perfetto, con il ritorno ad una normalità tanto anormale, che ancora fa sussultare, negando ogni innocenza.
Sono molto curioso: Enemy a parte, ho sempre adorato Villeneuve.
RispondiEliminaSperiamo bene.
Nonostante l'incomprensibilitá generale di Enemy e del suo finale, mi aveva convinto anche lì Villeneuve. Qui poi é decisamente fordiano, curiosa di sapere cosa ne penserai!
Eliminaal momento uno dei favoriti dell'anno, Blunt da applausi
RispondiEliminaBlunt pazzesca, pure Villeneuve se ne é innamorato secondo me, l'ha resa ancora più bella.
EliminaE la curiosità cresce...
RispondiEliminafilm che ti si appiccica addosso e non ti lascia, D. VILLENEUVE è un grandissimo regista, pazzesco, riesce a seguire i personaggi come nessuno. Ti frega sempre, come in Prisoners, la trama è un pretesto, alla fine mi ricorda Dostoevskij.
RispondiEliminaIl paragone sembra azzardato ma si, hai ragione. Ha una capacità di creare la giusta atmosfera e di costruire i personaggi che ricorda il russo!
EliminaVoglio assolutamente vederlo.
RispondiEliminaIntanto, mi recupero i precedente di Villeneuve: ho visto solo Prisoners, splendido anche se un po' irrisolto.
Senza troppi dubbi gli ho preferito i film canadesi, un esordio da faville e un proseguimento che secondo me adorerai particolarmente :)
EliminaLo voglio vedere anche io! :)
RispondiEliminaSono sicura verrà soddisfatto anche il gorilla, film solido e macho al punto giusto!
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