10 settembre 2015
Venezia 72 - Light Years
Anche gli inglesi possono sbagliare, e lo fanno sempre qui a Venezia.
Lo scorso anno si era scivolati in un pessimismo al limite del sopportabile con Bypass, quest'anno lo si fa con una lentezza infinita in Light Years.
In entrambi i casi abbiamo per protagonista una famiglia disfunzionale, qui composta da una madre che soffre di Alzheimer rinchiusa in un centro specializzato, di un padre che non riesce ad affrontare il dolore e si rifugia nel suo lavoro, e in tre figli, che a loro modo affrontano il dramma: costruendo una storia d'amore immaginaria che ha però speranze nella realtà, ricercando e sentendosi ogni sintomo possibile di malattia, cercando di ricomporre i pezzi felici di anni in cui si era troppo piccoli per ricordare.
Così questa famiglia va avanti, cercando di non pensare, di lasciare in un angolo quella madre dimentica del mondo e di loro. Non la piccola Rose però, che aspetta pazientemente di farle visita, e quando si vede abbandonata da un padre e dai fratelli, parte da sola, attraversando campi e campagne, portandola poi in gita.
Il loro intero pomeriggio compone il centro di un racconto che nella brevità di una trama, ricerca incessantemente l'artisticità, con rallenti e dettagli estetizzanti ad esempio.
I tempi si rallentano, il ritmo non esiste, i dialoghi sono di quelli pesanti, quelli che di certo una famiglia della periferia inglese non farebbe mai.
Ma va bene, sospendiamo la realtà e andiamo avanti, andiamo al mare, assistiamo a una crisi, a un riavvicinamento e a un confronto con la realtà.
A tutto questo però manca il peso, manca la sostanza e la sensibilità che solitamente gli inglesi hanno.
Si ricerca troppo la bellezza, svuotandola di significato.
Le prove dei vari attori non brillano accecate come sono da ciò che gli sta intorno e dalla poca costruzione dei loro personaggi, e allora ci si annoia, ci si assopisce pure, chiedendosi perchè, con tutto quello che di bello fanno, a Venezia gli inglesi portano solo il loro peggio.
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