6 settembre 2015

Venezia 72 - L'Hermine


Ah, i francesi!
Con loro sai sempre di andare sul sicuro. 
Già hanno divertito e commosso con Marguerite, e ora fanno lo stesso con L'Hermine calando l'asso Fabrice Luchini.
Credi di trovarti davanti un film processuale, un La parola ai giurati ammodernato, e portato a Calais, ma non è così, perchè quello su cui ci si concentra davvero, sono le vite di ognuno di questi giurati, e in particolare del Presidente della Corte di Assise, Racine, acciaccato, in via di divorzio, integerrimo, che si ritrova in aula quell'anestesista che con tanta cura anni fa lo aveva assistito in ospedale, e di cui è stato segretamente innamorato per tempo.
La ritrova fortunatamente dalla parte giusta dell'aula, in qualità di giurato sostitutivo, chiamata a decidere la sorte di un giovane accusato di aver ucciso a calci la figlia di 7 mesi.
Il processo parte, vengono ascoltati i testimoni, gli agenti di polizia, la compagna dell'uomo, mentre lui non vuole parlare, continuando a dichiararsi innocente.
Nei tre giorni di questo processo si conoscono meglio tutte le figure che vi ruotano attorno, si inizia a sentire quell'amore riemergere, e Racine farà un nuovo tentativo, quasi disperato, di dare un senso alla sua vita vuota.
Non è la verità quella che interessa, non è capire cosa possa essere successo in un complesso popolare di Bel Air, in un giorno di primavera, quella difficilmente si saprà mai.
Interessa mostrare le qualità umane coinvolte, i sentimenti in gioco, e la speranza in un uomo non così amato, che però per amore si apre.
Il film si regge quasi esclusivamente sulle spalle di un Luchini splendido, che con una smorfia o una parola sa far ridere, che con uno sguardo sa emozionare.
Non è il classico film da concorso, L'Hermine, non ha la pesantezza, non ha un livello tecnico particolarmente incisivo, ma ha il suo perchè, ha una canzone di accompagnamento che culla e dei dialoghi, degli attori, per i quali ti trovi a sorridere per l'intera visione.

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