La guerra è finita, una nuova generazione è nata senza conoscerne gli orrori, la vita ha ripreso a scorrere normalmente in Germania.
Così normalmente che chi in quella guerra ha compiuto atti inumani, terribili, se ne va tranquillamente in giro, a consegnare il pane, a tagliare legna, ad insegnare a dei bambini.
Sì, membri delle SS, membri del partito nazista, rimasti impuniti.
Ma c'è di peggio.
Sì, può esserci di peggio oltre a questa libertà ingiusta: c'è che questa nuova generazione, ma anche quella vecchia, Auschwitz non sa nemmeno cosa sia.
Un campo di lavoro, un campo di detenzione.
E che sarà mai?
Nella Germania degli anni '60, il silenzio ha vinto, mettendo a tacere orrori ancora oggi inenarrabili, ma che ci raccontiamo proprio per non dimenticare, per non ripetere.
In questo silenzio, si alza una voce, si tende un orecchio.
È quello del giovane procuratore Johann Radmann, che accoglie la denuncia di uno che in quei campi c'è stato, ha visto, ha vissuto, e che si è ritrovato il suo aguzzino davanti gli occhi.
Con l'aiuto di un giornalista con le sue colpe da espiare, con l'aiuto di un artista che vorrebbe dimenticare e con contro un'intera nazione che preferisce chiudere gli occhi, dimenticare, Johann inizia una ricerca che scava in un passato non così lontano.
Anzi.
Scoprirà quello che già sappiamo, quello che non possiamo più dimenticare, e scoprirà che in una nazione nazista, dove gli oppositori morivano, dire no era difficile, dire no era quasi impossibile.
Lottare? Non era per tutti.
Morire? Difficile accettarlo.
E allora, quelle piazze piene, quelle braccia tese a salutare Hitler, sono poi le stesse che hanno festeggiato la fine della guerra, del dominio nazista.
Quello che Il Labirinto del Silenzio racconta, è una pagina di storia ai più, a me, sconosciuta.
Una pagina di storia tedesca che cambiò per sempre la nazione, con quelle ricerche che portarono a un processo fatto non tanto per colpire, indicare e punire i colpevoli, ma per far conoscere la verità, il dramma e lo sterminio di tanti.
Proprio per questo al film si perdonano le sue sbandate poco originali, l'inserimento di una non così utile storia d'amore, giusto per inquadrare meglio il personaggio di Johann e per alleggerire un film altrimenti pesante nelle sue tematiche, cosa che invece in Spotlight (temi diversi, ma stessa passiona per la verità) non ha fatto, aggiungendo però freddezza.
Gliele si perdona queste sbandate anche perchè è la Germania che guarda nuovamente a se stessa, al suo passato, mettendo in mostra i panni sporchi.
Così in mostra da scegliere questo film ( e non Victoria escluso causa dialoghi in lingua inglese) per rappresentare il Paese alla notte degli Oscar, non arrivando alla cinquina finale, però, dove a vincere è stato un altro film che di questi orrori parla, e ce li fa vedere senza alcun filtro, Il figlio di Saul.
Oltre a un risveglio generale di un cinema tedesco capace di travalicare le Alpi, Il labirinto del silenzio è la dimostrazione che certi tempi, certe verità, proprio grazie a Johann, a quanto la sua ricerca ha compiuto, non verranno più dimenticati, e che film simili, per quanto a tratti ripetitivi, faranno sempre un gran bene alla nostra memoria, a tratti, troppo corta.
Regia Giulio Ricciarelli
Sceneggiatura Amelie Syberberg, Elisabeth Bartel e Giulio Ricciarelli
Musiche Sebastian Pille e Niki Reiser
Cast Alexander Fehling, André Szymanski, Friederike Becht
Se ti è piaciuto guarda anche
Spotlight, Il figlio di Saul, Lui è Tornato
La scelta di allegerire il tema pesante l'ho apprezzata abbastanza.
RispondiEliminaLo stampo un po' televisivo e patinato meno.
Però la storia raccontata è parecchio potente e anche a me era sconosciuta e quindi questo film ha fatto bene alla mia memoria, solitamente un po' malconcia... :)