La perfezione.
No, iniziare questa recensione come è iniziata quella di Breaking Bad non è una bestemmia, né un affronto.
Breaking Bad e Sons of Anarchy hanno infatti molti più punti in comune che in disaccordo, e la dimostrazione sta anche in come i rispettivi creatori -Vince Gilligan da una parte, Kurt Sutter dall'altra- abbiano messo tutti loro stessi nel far concludere al meglio possibile la loro creazione.
Jax Teller è un po' un Walter White, un cattivo che il pubblico ammira, nonostante le numerose scelte sbagliate, nonostante gli errori e il sangue che a lui va ricondotto. E' un criminale dalla faccia d'angelo, dai modi eleganti e dalla morale sempre alta, seppur fragile.
Ma Jax non sceglie di essere cattivo, la sua strada è già scritta e parte da quello schianto in moto in cui il padre ha trovato una gloriosa quanto misteriosa fine, e si intreccia con quella di una madre volitiva, che la strada gliela spiana e gliela apre, tenendola pulita.
Shakespeare corre su una motocicletta tra le strade aride della California, portando il suo dramma, la sua solidità all'interno di una tragedia famigliare che come in Amleto si basa sulla contrapposizione di un patrigno al figlio acquisito, per poi, risolto questo, passare alla madre.
Quella Gemma che si odia e si ama, che ha fatto fuori Tara, in un finale -quello della sesta stagione- che lasciava sgomenti e attoniti davanti a tanta violenza e tanta ferocia.
Con la sua morte sulla coscienza, con le mani macchiate di sangue, Gemma sta però andando avanti, fingendo, perdendosi in pensieri e conversazioni solitarie, macchiando il suo cuore, oltre che la sua coscienza, di una lunga serie di cadaveri, che uno dopo l'altro si ammucchiano in questi conclusivi episodi.
Jax nei panni dell'irrequieto Amleto tentenna, vorrebbe fuggire, vorrebbe riscrivere un destino che è però già segnato. Chiude gli occhi, quindi, crede ciecamente alla madre, iniziando una guerra nel suo nome, una guerra che lo porta contro i cinesi prima, contro i neri di Marks poi, perdendo pedine importanti per strada, perdendo la testa lui stesso e creando una scia di cadaveri e di sangue che va a macchiare più di una mano, più di un cuore.
Questa guerra, portata avanti anche con testa e tattica quando il cuore tace, Jax la vince, ma la perde quanto la voce dell'innocenza parla, svelando la verità amara.
E lì, parte un'altra battaglia, questa volta interiore, questa volta più travagliata e più dura da combattere.
L'ultima stagione di Sons of Anarchy è forse la più spietata, anche, e la più equilibrata, nel dosare sapientemente tutti gli ingredienti a disposizione, il silenzio, la musica, le pallottole.
I tatticismi di Jax per quanto fallaci, portano lentamente a una risoluzione, e Sutter se la gode a portare i nodi al pettine, a esagerare con la sua regia, facendo carrellate iconiche, giocando con la macchina da presa, catturando lo sguardo, l'udito, il cuore.
Ci piazza poi così tante guest stars che è difficile ricordarle tutte (Marilyn Manson, Lea Michele, Courtney Love...), gigioneggia con Tig e con Rat, rende ancora più memorabile la prova dello scozzese Tommy Flanagan, per non parlare di un Jimmy Smiths strepitoso, intenso e fisico. Fa del suo cast il più eterogeneo e il più corale del piccolo schermo, rendendo amabili anche dei bastardi e bifolchi come i Sons, mostrando il loro volto umano.
Ormai ci si è affezionati ad ognuno di loro, a quella Wendy che ormai si è riscattata, a Unser che non demorde né al cancro né alle menzogne, a Chucky che non è solo una mascotte, a Venus che non è solo un trans e a Juice che non è solo un traditore.
Si piange, quindi, e parecchio, davanti a morti importanti, a morti che trovano riscatto e dignità, e si resta a bocca aperta davanti alla perfezione e all'equilibrio degli episodi, in particolare il numero 10 Faith and Despondency, a rischio censura in America, che si apre tra contorsioni amorose e si chiude nelle parole, nel silenzio carico di tensione e di amarezza. E prima di scoprire cosa Papa's Goods significhi, c'è spazio per delle rose rosso sangue, per un altro episodio da applausi.
Poi c'è solo tempo per risolvere i problemi, per appianare i debiti e per stabilire gli equilibri, nella speranza che le proprie orme non vengano percorse. Vanno fatti fuori i cattivi, e solo allora il sorriso, la sensazione della libertà, di volare su quelle due ruote, è possibile.
Incontrando il destino, accogliendolo a braccia aperte nel nome del padre.
“Doubt thou the stars are fire;
Doubt that the sun doth move;
Doubt truth to be a liar;
But never doubt I love.”
William Shakespeare
Bellissima recensione.
RispondiEliminaIo non ho ancora la forza per scrivere di SOA ma devo farlo. Devo.
RispondiEliminaTu sei stata magnifica come sempre, in una valle di dolore.
post notevole!
RispondiEliminae paragone con breaking bad assolutamente legittimo.
il finale non è stato magari del tutto sorprendente, però non poteva che andare così...
è adesso è tutto finito, che tristezza :(