17 giugno 2020

Da 5 Bloods - Come fratelli

Andiamo al Cinema su Netflix

Non c'era momento migliore per il film di Spike Lee di essere distribuito.
Lui, che il cinema militante lo ha sempre fatto, si ritrova ora a promuovere un film che prende posizione mentre per le strade d'America e del mondo si protesta per quel razzismo che non si è mai superato, non si è mai fermato.
Quanto è difficile, allora, non riuscire ad elogiare Da 5 Bloods, ad andare oltre il suo essere urgente e necessario.
Lo faccio dal basso, dal mio essere una ragazza bianca e italiana, che non sempre appezza film eccessivi e disequilibrati.
Perché spiace dirlo, proprio ora, proprio oggi, ma così ho trovato Da 5 Bloods.



Che parte come una grande avventura, un grande amarcord, con 4 amici, 4 veterani, che ritornano lì dove si sono conosciuti: in quel Vietnam che li ha visti combattere, che ha segnato la loro vita.
Tornano ufficialmente per trovare quell'amico che a casa non è tornato, il loro leader, la loro testa pensante: Norman.
Ma in realtà, tornano per cercare quel tesoro che insieme avevano seppellito, lingotti d'oro destinati agli alleati Lahu, dichiarati rubati, sepolti nel mezzo della giungla vicino al corpo di Norman.
Questo ritorno sul campo è un ovvio confrontarsi con quello che erano e quello che sono.
Con quello che la guerra è stata per loro.
E non si parla solo di relazioni familiari difficili da tenere insieme e di stress post traumatico che si annega nell'alcool, nell'oppio, in sfuriate... si parla del loro essere stati soldati neri, in una guerra che non era la loro, in un'America che ha continuato a voltargli le  spalle.
A non riconoscere il sacrificio, l'obbedienza, a stracciare i loro diritti giorno dopo giorno, anno dopo anno.


E le vedi, le proteste, le invettive, le rivolte, che prendono piede in quegli infuocati anni '70, le vedi e sembrano oggi.
Ti chiedi com'è che mentre si venerano ancora leader come Martin Luther King e le sue parole di 50 anni fa, non hanno portato nessun cambiamento, anzi, ci si ritrova oggi nel 2020 ad avere le stesse pretese?
La mancanza di una risposta, i parallelismi, fanno paura.
Spike Lee mescola filmati d'epoca con il viaggio che parte da Ho Chi Minh e si addentra nella giungla, dove tappe sono necessarie per ritrovare un'amante mai dimenticata, un'ereditiera che sgrava il suo senso di colpa cercando mine.
In un continuo chiedersi chi è nel giusto, chi era il vero discriminato.
Fra vietnamiti che non possono dimenticare, soldati neri che niente hanno guadagnato, francesi che hanno sfruttato e continuano a sfruttare la loro colonizzazione.


Il calderone è denso, è bollente.
E ne esce una guerra dove nessuno è vincitore.
Quello che sembrava un'avventura per cementare un'amicizia finisce per essere uno scontro contro i propri demoni, e proprio l'amicizia ha la peggio.
La sete di denaro, pardon, d'oro, manda alla testa e il bagno di sangue di un passato che non si può dimenticare, è inevitabile.
Si eccede, quindi, si esagera in una storia fatta di capitoli, di troppe storie, di tante tesi.
I 154 minuti per assurdo non sembrano bastare per approfondire questi 5 personaggi, zigzagando come mine impazzite fra sentimenti opposti, un corpo centrale della storia da raccontare.
Nota dolente poi per una colonna sonora invasiva, lì dove le canzoni di Marvin Gaye cascano a pennello, si alternano le composizioni pompose di Terence Blanchard a rovinare il ritmo, il respiro, di certe scene. Con crescendi esagerati come il film stesso.
Il budget è altissimo ma non è presente la voce de-aging, scelta azzeccata per mostrare gli stessi attori in piena guerra e nel presente, così da rendere più significativo il loro non riuscire a superarla e ad evitare lo scivolone fatto da Scorsese in The Irishman.
Se è già partita la campagna per l'Oscar a favore di Telroy Lindo, io fatico a scinderlo dal personaggio complesso del suo Paul, chiaramente disturbato, odioso e manesco, con un senso di colpa personale che non è certo un colpo di scena.
Insomma, lo trovo "solo" pazzescamente insopportabile.


Spike Lee invece è sempre lui: quello che sguazza negli anni '70, che le stangate politiche non se le risparmia, il suo giudizio contro Trump è chiaro e cristallino attraverso dialoghi, invettive, semplici capellini.
È sempre lui nel mescolare riprese epiche e gesti simbolici, in un finale dove la retorica ci mette lo zampino, ma è ancora una volta quella retorica che alla luce dei fatti quotidiani, delle proteste che incendiano l'America non più solo per le strade ma anche al Senato, al Congresso, nelle piccole città, trovano un senso.
La guerra in Vietnam rappresentata più e più volte al cinema non era mai passata dall'occhio di quei soldati neri che per ideali che non li comprendevano sono morti, in un modo o nell'altro.
E Spike Lee lo sa, lui che usa il cinema per smuovere coscienze, per mandare messaggi.
Non c'è lo stesso approccio volutamente scanzonato che c'era in Blackkklansman, manca quella vena di umorismo nero che permette di tirare il fiato.
Qui, su Netflix e fuori per le strade, c'è una vera e propria guerra in corso.
Il messaggio, l'urgenza, la necessità sono altissime.
Ma il risultato è su schermo meno riuscito dei suoi intenti.

Voto: ☕☕½/5


5 commenti:

  1. Ci contavo molto, ma purtroppo è così: è rimasto invischiato nel pantano Vietnam, condivido le tue osservazioni, a cominciare dalla colonna sonora. Un terreno in cui generale è parso poco a suo agio: diverse cose interessanti, ma sembra proprio non essere riuscito a dare il meglio. Film come la 25° ora, He got game, Inside man restano non uno ma parecchi gradini sopra.

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  2. Sono d'accordo con te, sarà che si trattava di un soggetto di Oliver Stone (questo spiega l'ambientazione) che Spike Lee ha riscritto, ma i rimaneggiamenti si notano tutti, tanta carne al fuoco non permette troppo bene di capire dove il film voglia andare a parare. Ho apprezzato molto il secondo atto, quello dove Lee riesce a stare con i suoi personaggi, specialmente su quello del bravissimo Lindo, un paradosso con berretto. Sicuramente è un film al passo con i (brutti) tempi, Spike Lee ci ricorda che non è cambiato niente, dagli anni '70 ad oggi, anche se in carriera ha firmato film migliori di questo che portavano comunque avanti la sua arrabbiata ma molto condivisibile posizione. Cheers!

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  3. A me già non piace Lee, poi la durata eccessiva e il tuo parere tiepido fanno il resto.

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  4. Visto com'è fatto e il soggetto ci stava che potesse essere così, però se capita lo vedo ;)

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  5. A me invece è piaciuto parecchio. Sì, è un lavoro discontinuo e soprattutto nella seconda parte non tutto funziona, però dentro c'è anche tanta roba e tanta passione.
    Delroy Lindo poi almeno da nomination agli Oscar.
    Temevo fosse il classico film di guerra, invece è qualcosa di diverso, per mia fortuna visto che non amo il genere.
    Mi spiace non ti abbia convinto.
    Per me è letteralmente... una bomba. :)

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