1 giugno 2020

Il Lunedì Leggo - Il Corpo Umano di Paolo Giordano

In piena pandemia, quando anche gli scienziati barcollano nel buio alla ricerca di cure e origini, Paolo Giordano è già riuscito a scrivere un saggio sul Corona Virus (Nel contagio).
Merito della noia della quarantena?
Del marketing pressante?
Non so.
I dubbi sull'utilità e il bisogno di scrivere su una pandemia in corso e pubblicare in tutta fretta (a marzo) un saggio a riguardo restano.
Io a Giordano avevo voluto bene con quel caso che è stato La solitudine dei numeri primi.
Poi, però, di suo non ho letto altro.
Il corpo umano, per dire, lo credevo un racconto sulla sua esperienza come volontario in una missione di guerra. O di pace, chissà come ha più senso chiamarla.
Una testimonianza di quello che dietro le trincee, nei campi base, succedeva.
Mi sbagliavo, ovviamente.


Siamo di fronte a un romanzo che parla di soldati italiani, di un plotone che vive nella sabbia e nell'inazione di un'Afganistan in cui il nemico è però infido e invisibile.
Eccoli qui questi commilitoni, a partire dal tenente medico Alessandro Egitto, passando per il maresciallo René, per il caporalmaggiore Ietri.
Poco a poco, questi ragazzi appena ventenni, appena usciti dal nido di casa o già esperti che sanno come giro il mondo e soprattutto le missioni di pace/guerra, li si conosce, scavando nel loro passato, in lutti, in educazioni o in scelte di vita che li rendono amabili o detestabili.
Se le giornate passano a farsi scherzi a vicenda, a correre al bagno per della carne avariata, a ripensare a quello che hanno lasciato in sospeso in Italia, tra famiglia e amori, tutto cambia quando una missione deve essere portata a termine, una missione che per i più esperti è suicida: affrontare la strada, il deserto, con le mine e le bombe che potrebbero essere nascoste sotto ogni buca, in ogni auto abbandonata, dietro ogni roccia.
La vita, per tutti, cambierà da qui.
Il ritorno alla normalità sarà impossibile.
La missione finisce, il campo base si abbandona, si torna in Italia, ma la mente è ferma lì, in quella strada, fra quelle montagne.

Se i film di guerra non sono certo pane per i miei denti, tanto meno lo sono i romanzi.
Anche qui, i personaggi sembrano tagliati con l'accetta a rispettare i canoni conosciuti grazie alle pellicole americane, tra spacconi, capri espiatori, verginelli e sottoposti ragionevoli ma inascoltati.
Ma forse, è davvero così che funziona l'esercito, e la morte non guarda certo in faccia queste etichette.
A sorpresa, però, in questo racconto di guerra più interiore che esteriore, sono rimasta avvinta, riuscendo a riconoscere, ad amare e odiare certi personaggi, il loro gergo, il ritrovarmi fra la polvere e la sabbia.
Fra i loro pensieri.
Ritornare a leggere Giordano nel pericolosissimo romanzo numero due dopo un successo che definire travolgente e dir poco, ha fatto bene.
Ma magari, certi saggi precoci continuerò ad evitarli.

5 commenti:

  1. Comitato dopo l'entusiasmo per Divorare il cielo, che a questo punto sospetto che resterà il mio preferito dei suoi.

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    1. Divorare il cielo me lo volevo tenere per un'estate in Puglia, magari questa.
      Ricordo quanto ti aveva colpito.

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  2. Paolo Giordano?
    Un romanzo di guerra?
    No, non credo proprio faccia per me. :)

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    1. Diciamo che le premesse non sono delle migliori, ma poco a poco a questi soldati ci si affeziona anche troppo.

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