22 giugno 2020

Il Lunedì Leggo - Uomini di Poca Fede di Nickolas Butler

Si ritorna lì, nel Midwest americano, fra le strade di Eau Claire e La Crosse, dove tutti si conoscono per nome, dove si conosce la storia di quelle famiglie che abitano in quelle case, fra quei mattoni, quei campi, da generazioni.
Si ritorna a leggere il Wisconsin di Nickolas Butler.
E conosciamo Lyle Hovde, padre ma soprattutto nonno, lavoratore instancabile che vive per quelle primavere di perfezione, dove passare le giornate con il nipote, osservare quei meli vecchi e selvaggi dare ancora frutti, non tantissimi, ma abbastanza, prendersi cura di quel frutteto come fosse una famiglia in più.
Lyle è così.
Non riesce a stare con le mani in mano, ha passato la sua vita nei confini di quel paesino, e anche se invidia l'amico pastore che il mondo l'ha girato prima di scegliere Dio, preferisce la sua routine, le sue giornate tranquille accanto a Peg, a bersi una birra fredda in compagnia di Hoot.
La domenica si va a messa, ma si va più per abitudine che per fede.
Quella Lyle l'ha persa per sempre quando Dio ha chiamato al suo fianco il suo unico figlio, Peter, vissuto appena 9 mesi.
Ha cercato di farsene una ragione, di capire, di perdonare, di riprovarci, ma con Dio il suo rapporto resta chiuso.
Adottare Shiloh ha dato un senso alla sua vita.
E anche se quella figlia è sempre stata complicata, ora gli ha regalato Isaac.
E non c'è niente di più bello per lui, acciaccato e accondiscendente, che passare le giornate a riscoprire il mondo attraverso gli occhi del nipote.



Lyle è così: un uomo concreto, che balla ancora con la sua Peg, che beve ancora nelle occasioni speciali, che cura, sistema e pulisce la tomba di un figlio che non ha mai visto crescere.
Lyle è quell'amico che non nega una birra a chi sta morendo, non gli nega una sigaretta, e gli prepara un tavolo, come quello della sua infanzia, in cui celebrare la sua vita, organizzando un'ultima cena come si deve.
Lyle è quel nonno che vive per il nipote, consapevole del suo ruolo, della protezione che può infondergli, dei ricordi che può lasciargli.
Perché dover credere in un Dio?
Perché pregarlo?
Non capisce, Lyle.
Non capisce quel predicatore che entra all'improvviso nella sua vita, che si prende la figlia e pure il nipote, vedendo nella prima l'amore, nel secondo un guaritore, in Lyle un miscredente che ostacola poteri speciali, la comunicazione con Dio.
Che fare?
Giocare buon viso a cattivo gioco, fingere, andare a sentire quei sermoni non sempre ispirati, analizzare una chiesa in un ex cinema, una congregazione che ha l'apparenza di una setta.
Finché il tutto, non è davvero troppo.

Si torna in quel Wisconsin rurale e sembra di conoscerlo da sempre.
Si immaginano case, campi, persone.
E sembrano quelle dei propri nonni.
Giardini curati, orti rigogliosi, campi che dettano il tempo.
Camice di flanella, jeans ruvidi, vecchi cappotti per affrontare il freddo e il ghiaccio.
Garage in cui rifugiarsi, in cui trovare sempre del lavoro in sospeso.
Una vita da dedicargli, generazione dopo generazione.
Quella prima di Lyle, fatta di fatica, sudore, e un premio finale finito il raccolto.
Quella di Lyle che rischia tutto, pur di salvare quello che può lasciare.

E poi ci sono i discorsi importanti, ci sono le riflessioni sulla fede, sul credere, su che cosa può esserci o no dopo la morte, sul senso della vita stessa.
Con le parole di Hoot che sono il mio credo:

"Non ho mai capito la religione organizzata.
Sii una brava persona. Non ferire il prossimo. Non truffare. Non essere avido. 
Mi sembra piuttosto semplice. 
Non ho bisogno di una stupida guida turistica per rimanere sulla retta via."

Con una nota finale dell'autore che fa malissimo.
Perché il finale resta sospeso, quasi troppo.
Si lascia a una citazione dal Vangelo, alla propria fede, decidere il destino dei protagonisti.


Anziani ancora pieni d'amore, la passione non per Dio ma per dei meli, amici del cuore dal cuore d'oro, burberi con le foto giuste incorniciate nella camera da letto.
Non poteva non essere il romanzo da divorare, per me, che lo stile cinematografico di Butler l'avevo già amato.
Un po' a sorpresa, ho faticato ad entrare nella storia e a capire dove la storia volesse andare a parare, ho faticato a trovare dell'originalità in una storia che mi sembrava di aver già visto, già sentito.
Con anni mancanti, il punto di vista di una figlia lasciato troppo in disparte pur di arrivare all'oggi.
A Lyle con Isaac, con la sua voce e i suoi pensieri a fare la differenza.
La fede ho iniziato a sentirla a metà strada, lì dove una festa su un tavolo rifinito sera dopo sera, me l'ha riaccesa come quelle lucine che illuminavano un'ultima cena.
Nel podio dei Butler questi Uomini di poca fede restano così all'ultimo gradino, con quelle canzoni da colpo al cuore a rimanere in vetta, seguite dal dolore che provoca il Cuore degli Uomini.
Ma è un terzo posto dignitosissimo che chiede ancora, che fa sentire a casa.

2 commenti:

  1. Difficile scegliere il mio preferito. Li ho amati tutti allo stesso modo, con un occhio particolare verso l'esordio. In ogni caso, quanta commozione, quanta magia.
    Tra Butler, Haruf (recensito oggi) e Markley (bell'esordio Ohio), quest'anno mi dico soddisfatto dei miei viaggi statunitensi. :)

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    1. Mi aspettavo davvero di divorarlo, invece non ho avuto ben chiara la storia e se proprio lì volesse andare a parare. Preso il ritmo, però, mi ci sono come sempre ritrovata e ora che saluto il Wisconsin, faccio un salto a Holt anch'io!

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