Dura l'estate se sei un metallaro.
Non solo per quei vestiti neri che fanno patire il caldo, ma anche per quella leggerezza e felicità richiesta che cozzano con uno stile di vita più da duri.
È ancora più dura l'estate per Daniel perché da metallaro in procinto di andare in America a trovare il padre, si ritrova costretto a stare in una piccola e sonnolenta cittadina inglese, con una madre invecchiata presto, piuttosto repressa e fin troppo opprimente.
C'è poco da fare, se non gironzolare, ascoltare musica, e sognare, per quanto possibile.
Che cosa?
Di entrare in una band, anche se significa vincere una certa apatia, sfidare una certa timidezza e pure un certo disappunto quando gli altri membri della band hanno una decina d'anni appena.
Insomma, non è la migliore delle estati per Daniel e non lo è per sua madre.
Che non è invecchiata presto o repressa o invadente come lui crede, è una donna che cerca di essere accondiscendente con un ex marito che si è rifatto una vita al di là dell'oceano, mentre lei la sua occasione sente di averla sprecata già in passato, con un ragazzo che le ricorda fin troppo da vicino il suo Daniel, solitario e malinconico.
Si rimette in gioco, allora, per non far scorrere via quell'estate inglese comunque fredda, comunque soleggiata di sbieco, e accetta le avance e un appuntamento con un professore che frequenta la biblioteca dove lavora.
Così strani, così simili senza volerlo ammettere, Daniel e sua madre non riescono a comunicare o a capirsi, non come vorrebbero almeno.
Ci vuole qualcosa di grande, più di una gita, più dello shopping, più di una lezione dedicata al caramello, per ritrovarsi davvero.
Tratto da un fumetto di Joff Winterhart, il film del 2019 è uno di quei piccoli film indipendenti inglesi che chissà come e chissà quando è finito nel mio radar.
Se devo andare a cercare un motivo sta probabilmente in Earl Cave, figlio di Nick Cave, che la sua dose di dolore di fratello figlio unico l'ha già vissuta.
Ma per fortuna qui si sta dalle parti del disincantato, di toni quasi pastello pur con quel nero metallaro che non si diffonde troppo nella colonna sonora.
Anzi, ricorda da vicino il più musicale e più indie God Help the Girl, ma forse sono solo le musiche scritte appositamente dai Belle and Sebastian a spingermi al paragone, perché ammetto che qui la magia è minore.
Un po' più spenta la fotografia, più che la regia volutamente geometrica, che non riesce a catturare con le luci e i colori la bellezza e la malinconia di certi paesaggi e di certe case inglesi, con il rapporto e le vite di Daniel e sua madre ad avere piccoli guizzi che conquistano, in mezzo ad alcune scene meno coinvolgenti.
Forse è anche che basta poco, per due solitudini, per incontrarsi su un terreno comune di dolore, ma il finale riesce a commuovere, a rendere più speciale anche un'estate a casa Magnold.
Voto: ☕☕½/5
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