Andiamo al Cinema
Amore e cancro e Andrew Garfield e Florence Pugh e l'Inghilterra di campagna e la carriera da chef e un incontro tragico e tenero e un innamorarsi e un forse avere un figlio e trovarsi e capirsi e un accettare e un lasciar andare.
Come lo sbagli un film così?
Un film che sembra avere tutti gli ingredienti per essere il film del momento, prodotto dalla solida A24, con due attori pucciosi e sulla cresta dell'onda, che se ne tornano finalmente nell'Inghilterra da cui provengono e lo fanno con un regista come John Crowley sì fin troppo rigoroso, ma capace di darci un bello schiaffo in faccia come in Boy A (esordio proprio di Garfield) e in Brooklyn? Dicevo, come lo sbagli un film così che decide di raccontare il cancro, le cure e le terapie, le scelte dolorose sul tempo da vivere e da sacrificare, una maternità cercata e una carriera da portare avanti con orgoglio, che è quella di una chef stellata che dopo The Bear sembrerà sempre un po' una macchietta?
Eh, proprio così.
Facendo delle macchiette.
Delle scenette più che un film, composto da scene tropo belle per essere vere, momenti di un tempo a cui manca la completezza.
Per assurdo, riuscendo a non essere profondo o sentito, o semplicemente diverso da mille altri film sul cancro e sull'amore che però non hanno Andrew Garfield e Florence Pugh come protagonisti, belli in modo assurdo, romantici in modo assurdo e allo stesso tempo non sempre a tempo sulle loro perfomance, caricate a favore di Academy che però li ha snobbati.
Anche giustamente direi, perché di film come We Live in Time siamo abbastanza pieni, una romanticizzazione della malattia che non mostra la malattia al suo peggio, mostra la resilienza (…) quello sì, fa urlare motivazioni e decisioni più che spiegarle, e cerca di gigioneggaire nel come raccontarcela.
Come?
Andando avanti e indietro nel tempo, mostrandoci il presente e il passato fatto di incontri romantici, amplessi e cene di famiglia, traslochi e gravidanze senza una vera scelta artistica.
Non sembra esserci un'idea precisa del come e del perché si vada avanti e indietro nel tempo, senza raccordi che non siano stuccosi, scenette da cartolina buoni per i social. Che non a caso sono impazziti -ma per il motivo sbagliato- per una corsa sulla giostra che ha portato a tagliare il cavallo scomodo dal poster.
L'obiettivo piuttosto dichiarato è far piangere lo spettatore, e pur riuscendoci in una scena di parto ad alta tensione, si affossa l'emozione con una certa pornografia del dolore e dell'amore da non riuscire a risultare vera come sperato.
Spiace per Florence, che poco materna e poco amorevole, resta ferma nelle sue posizioni e si deve affidare a parrucche una volta compiuto il gran gesto del rasarsi i capelli.
Spiace per Andrew, forse un po' meno, perché il suo personaggio è fin troppo buono e nemmeno quando si arrabbia risulta credibile.
Ad un film così che era tanto facile da sbagliare quanto facile da azzeccare, manca la polverina magica che di solito le produzioni A24 hanno, manca la chimica e la realtà in questa favola dalle case e dagli appartamenti incantevoli, dagli abiti più cool e dai momenti più buffi.
Sembra un amore, sembra una malattia anche, da social. Da ricordi filtrati a favore di camera che non fanno sentire vero questo amore, questa malattia, questo film.
Voto: ☕☕/5
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