Settimana Crime
Avevamo lasciato Steven Avery e Brendan Dassey lì dove stavano passando metà della loro vita, ormai: in carcere.
Accusati per una confessione estorta, per indizi che sembravano contraffatti, li avevamo lasciati lì con il magone, con l'orrore pure, che una certa giustizia tutt'altro che giusta ha saputo dare.
Che qualcosa dovesse cambiare, lo si sapeva.
Un movimento, un urlo di indignazione, si è sollevato una volta che Netflix ha rilasciato il documentario registrato in 10 lunghi anni da Laura Ricciardi e Moira Demos. Si è smosso pure il Presidente Obama, per dire, pur non potendo concedere la grazia.
Una seconda parte non poteva che far ben sperare, c'era ancora da raccontare, c'era ancora di che combattere.
Lì ritroviamo lì, allora, con le famiglie dal cuore spezzato, con gli anni e le fatiche che si sentono, mentre la verità ancora non viene a galla.
Steven combatte come può, da solo, impegnandosi nella biblioteca del carcere a leggere e documentarsi.
Brendan ha dalla sua un team di avvocati che agguanta ogni possibilità, studia, fa appello, smuove coscienze. Il suo caso sembra più semplice, solo la sua confessione -estorta- l'ha fatto condannare, non ci sono prove, non ci sono nemmeno tracce di DNA.
Diverso per Steven.
Finché tutto cambia, una luce non entra in scena ed ha la carica di un bulldozer, o -come dice lei stessa- dei peggiori incubi per l'accusa: Kathleen Zellner.
Donna abituata a combattere, donna abituata a far scarcerare chi è dentro ingiustamente.
Il suo obiettivo dichiarato è smantellare prova su prova, accusa su accusa, rivolta a Steven. Lo farà armandosi di esperti, di tecnici di laboratorio che come fossimo dentro a CSI, ci parlano di macchie di sangue, di forza dei proiettili, di scie dei cani e tabulati telefonici.
E tutto porta ad altre verità, ad altri sospetti, perché se a Steven si dichiara innocente -e gli si crede- un altro assassino è da 13 anni a piede libero.
Diventa quindi Kathleen Zellner la protagonista di questo Making a Murderer, capace di consolare e dare forza alla famiglia Avery, che arranca con un'attività ormai al collasso, con l'età che inevitabilmente presenta i suoi conti.
Questa seconda parte è stata accusata di essere troppo lenta, troppo tecnica, di concentrare due anni di battaglie legali e di indagini interne in lunghi episodi. Sì, l'appeal della prima parte manca in alcuni punti, lì erano 30 gli anni condensati. Qui, in episodi che durano anche più di un'ora, si eccede in punti in cui si osserva semplicemente quella famiglia, si lascia spazio a un montaggio non sempre efficace. Ma se si pensa che quella famiglia apparentemente di bifolchi americani è ormai entrata nel nostro cuore, che gli Avery li si vorrebbe aiutare e accogliere, tutto cambia, anche quei lunghi momenti a loro e alla loro vita domestica dedicati, trovano un senso.
Ovviamente, a fare più male sono i continui colpi che due avvocatesse piene di passione e affamate di giustizia come Laura Nirider e Kathleen Zellner devono subite. Con giudici parziali, con scale del potere che si fatica a scalfire, mentre vecchie e nuove conoscenze continuano a sfruttare il caso per la loro celebrità.
Ci si continua ad indignare, allora, si continua a voler bene ad un documentario che oltre a rendersi semplice documento di queste lotte, queste ingiustizie, diventa un mezzo per diffonderle e per mostrare quanto fa paura un sistema, giudiziario o politico che sia, quando non vuole lasciarti andare, non vuole perdere.
Tra rabbia e lacrime, alla fine di questa seconda parte che reclama una terza (perché la lotta prosegue), un'unica verità è certa: vorremmo tutti essere come Kathleen Zellner, o almeno, averla sempre dalla nostra parte.
Nel frattempo, mi accontento di seguirla su Twitter, dove questa incredibile storia per il momento continua.
L'ho visto consigliato su Instagram, ma dalla Ferragni. Di certo ci si fida più del tuo parere! Metto in lista, dopo American Vandal (stasera cominciamo la seconda, ma intanto che bello il finale amaro della prima: ho pensato ad I, Tonya).
RispondiEliminaÈ quasi un onore superare in qualcosa la Ferragni ;)
EliminaGli Avery e la loro sfortunata storia ti entreranno nel cuore, colpa/merito loro l'istituzione di questa Settimana Crime tra l'altro.
Certo che di documentari crime ne guardi un sacco. Manco Ford è su questi livelli. Anche perché ultimamente non guarda quasi più niente... :)
RispondiEliminaLa prima stagione di Making a Murderer un minimo mi intrigava anche però, se non c'è un elemento ironico stile American Vandal, mi sa che non è proprio il genere che fa per me. Se questa seconda stagione poi è pure lenta e noiosa, lascio proprio perdere.
Concentro la mia fordianità tutta in una settimana, passando almeno un mese a spulciare titoli e proposte. Poi, rinsavisco ;)
EliminaQuesta seconda parte non è noiosa, molto tecnica però, anche se la nuova avvocatessa è un personaggio così idolesco da poterti conquistare... pensaci!