Ha fatto discutere, ha fatto aprire dibattiti, raccolte firme, polveroni, con lo stesso Obama chiamato in causa.
Netflix sa dove battere il suo chiodo, sa come appassionare, e Making a Murderer spinge a divorare una puntata dietro l'altra, rivelandosi una docuserie ben più appassionante di un CSI qualunque, e meglio sceneggiata pure, per quanto a scrivere questa sceneggiatura è la realtà stessa.
Protagonista è Steven Avery, che abita con la sua numerosa famiglia a Manitowoc.
E il primo problema è proprio quella famiglia che si potrebbe tranquillamente catalogare tra i bifolchi teste calde dei piccoli paesini della provincia americana, se non fosse che, conoscendoli meglio, e poco a poco, di bifolco hanno poco.
Sta di fatto che così la pensa la polizia, così la pensa il resto della popolazione, e quando nel 1985 una donna viene aggredita e stuprata lungo la spiaggia, e la donna fa una sommaria descrizione, è a Steven Avery che si pensa, e senza pensarci due volte, lo si ferma, lo si arresta, lo si accusa. Poco importa se il suo alibi è confermato dal resto della famiglia, poco importa se l'identikit fatto sia stato copiato da una foto segnaletica di Avery già presente in archivio: il ragazzo, appena 22enne e già padre di tre figli, viene spedito davanti a un giudice, con un avvocato d'ufficio, e viene dichiarato colpevole a scontare 32 anni (TRENTADUE ANNI) di carcere.
Lui non ci sta, la famiglia non ci sta. E passano i successivi 18 anni (DICIOTT'ANNI) tra appelli e ricorsi, finchè la tecnologia non avanza, finchè una charity non prende il suo caso e grazie al DNA lo scagiona: non è stato Steven ad aggredire quella donna, il vero stupratore ha colpito ancora, negli anni.
Fin qui, si può dire tristemente, poco di nuovo.
Gli errori giudiziari ci sono, soprattutto in anni in cui la scienza forense doveva ancora compiere i passi da gigante di oggi. Ma tutto cambia quando Steven esce dal carcere e decide di fare causa al corpo di polizia di Manitowoc, di chiedere un risarcimento per quei 18 anni (DICIOTT'ANNI) passati ingiustamente in carcere.
Ed è qui che le cose per lui si complicano, appena ricomincia a vivere, a ritrovare l'amore di una nuova compagna e di una famiglia che lo ha sempre sostenuto, una ragazza scompare, Steven sembra l'ultima persona ad averla vista in vita, e nel corso di perquisizioni, gli indizi portano a lui come colpevole.
Non si tratta più di aggressione. Si tratta di omicidio.
Ed è di nuovo carcere, è di nuovo una macchina del fango nei suoi confronti, dalla stampa alla polizia che sembra davvero capace di tutto pur di vederlo dietro le sbarre. Con lui, accusato di complicità, il nipote appena 17enne che rischia allo stesso modo l'ergastolo.
L'ergastolo.
Parte un nuovo processo, questa volta condotto da avvocati che ci sanno fare sul serio. E noi siamo lì, appesi alle loro parole, tra interrogatori e arringhe che lasciano increduli, con il fiato sospeso, in attesa di un giudizio che purtroppo già conosciamo.
Sembra tutto più assurdo della finzione, sembra qualcosa che nemmeno il miglior sceneggiatore poteva scrivere.
Ed è successo, sta succedendo.
Il successo della docuserie di Laura Ricciardi e Moira Demos non sta però solo in una storia tanto affascinante di per sé, ma anche nella loro pazienza, in un lavoro lungo 10 anni che hanno saputo poi montare e produrre in modo da fare un binge watching per nulla stancante. Alle immagini di repertorio dei processi si intervallano interviste telefoniche e faccia a faccia con i protagonisti, con parenti e avvocati, si entra nella vita degli Avery provando sempre più angoscia e pena per loro.
Non stupisce quindi che la raccolta firme per avere la grazia presidenziale sia arrivata a quota 128mila, finendo però con un nulla di fatto vista la mancanza di potere del Presidente Obama di fronte ai processi statali, non stupisce il clamore suscitato in una serie in cui anche i giornalisti chiamati a seguire in diretta al processo stanno chiaramente dalla parte dell'accusato.
La buona notizia, è che una seconda stagione ci sarà, il che significa che nuovi sviluppi sono attesi, che potrebbero cambiare la sorte di un uomo che ha passato più anni ingiustamente in carcere che non da uomo libero.
Incredibile, è la serie che sto vedendo adesso (e sai che io ne vedo pochissime...)
RispondiEliminaNon leggo perchè, grazie al mio assoluto talebanismo di non cercare mai informazioni, non so nemmeno come è andata a finire.
Tornerò poi.
Divorate le prime 7 purtroppo sono almeno 20 giorni che c'ho lì ad attendere le ultime 3 puntate...
E come hai fatto a resistere?! Io non sono riuscita a staccarmene, maledetto fascino del crime... aspetto di leggerne al più presto da te!
EliminaHo visto le prime 7 (7 ore) in due giorni.
EliminaPer me una cosa folle, mai fatta.
Poi volevo finirla il terzo giorno ma non ho potuto.
E poi niente, poi salto il quarto, il quinto e perdo tutta l'adrenalina.
E ne avevo anche parecchia...
Lisa, anche solo per età ti dico che sul crime ho visto parecchio più de te
da quando ho 18 anni (20 anni fa mortacci sua ;) ) leggo, vedo, cerco qualsiasi cosa sui delitti, serial killer etc...
Sto su CI su Sky sempre, praticamente
insomma, era una serie perfetta per me
quindi qua la mano, amante del crime ;)
Io ero riuscita a disintossicarmi, ai tempi del liceo leggevo un sacco di thriller e gialli, seguivo CSI e simili, mi appassionavo ai delitti. Poi, sarò rinsavita o mi sarò rivolta ad altro, ho smesso.
EliminaMa in queste ultime settimane in cui una dopo l'altra ho visto serie TV e documentari crime, quella "passione" è rinata, ed è stato difficile smettere.
Torno al caro solito cinema dei sentimenti, metto da parte il sangue, però, da appassionato, ti consiglio sia The Jinx che dà un senso strepitoso ai documentari investigativi, che The Night Of, scritto, diretto e interpretato splendidamente :)
Occhio che con tutte queste docuserie criminali rischi di diventare più fordiana dello stesso Ford. ;)
RispondiEliminaDomani smetto, promesso ;)
EliminaQuesta è già in lista.
RispondiEliminaInutile dire che mi aspetto faville.
E faville saranno, te lo garantisco!
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