Probabilmente è andata così.
Dopo aver visto La Società della Neve sono finita in quel buco nero che è per me Wikipedia e dall'incidente sulle Ande del 1972 sono finita a leggere di altri incidenti aerei tragicamente famosi arrivando a quello in cui persero la vita l'attrice Marie-Soleil Tougas e il regista Jean-Claude Lauzon, da qui a capire chi era Lauzon e il suo film più famoso: Léolo, che a quel punto dovevo vedere, segnandolo in agenda fino al suo approdo ne LaPromessa di quest'anno.
O forse è andata diversamente, perché in quel giro macabro sarei passata per il volo Pan Am 103 che invece solo la miniserie Lockerbie mi ha fatto conoscere…
La ricerca potrebbe essere partita da Presunto innocente->Jake Gyllenhaal->il regista Jean-Marc Vallée le cui cause di morte non ricordavo più->altri registi canadesi mancati prematuramente e quindi a Jean-Claude Lauzon e il suo Léolo, che a quel punto dovevo vedere, segnandolo in agenda fino al suo approdo ne LaPromessa.
Può essere.
Sta di fatto che questo Léolo è finito nel mio radar, nella mia Promessa, dopo essere passato per Cannes nel 1992 ed essere ricordato come uno dei film canadesi migliori di sempre.
Léolo è anche il protagonista del film, anche se il suo vero nome sarebbe Léo Lauzon.
Un ragazzino dalla fervida fantasia, che si sente stretto in una famiglia piuttosto ingombrante e imbarazzante, nella palazzina piuttosto rumorosa in cui vive, in una cittadina che non gli dà chissà quali stimoli.
Li trova nei libri, anzi, nell'unico libro (L'avalée des avalés di Réjean Ducharme) che gira per casa e li trova nelle sue fantasie, prendendo come motto la frase Poiché io sogno, io non sono.
Da qui l'idea di essere per metà italiano, nato dal seme (no, non quel seme naturale, quello dell'uomo) lasciato da un contadino eccitato su una cassetta di pomodori sopra la quale la madre è caduta. Rimanendo incinta.
Fun fact a riguardo? Il sito Rotten Tomatoes deve il suo nome proprio a questa scena del film.
Léolo sogna discendenze sicule pur di sentirsi più vicino a quella vicina di casa italo-canadese che ama, che ha però altri gusti, altre esigenze.
Scrive, Léolo, quello che gli succede e quello che vorrebbe gli succedesse, mentre la sua famiglia ossessionata dalle evacuazioni con un monitoraggio settimanale di quanto prodotto, cade a pezzi, vittima fratello dopo fratello e sorella dopo sorella di psicosi e pazzie difficili da spiegare.
Più facile rinchiuderli in ospedale, nella loro ignoranza e nella loro fragilità.
Le memorie di Léolo vengono trovate da un letterato che salva dal dimenticatoio lettere, foto, diari di chi non c'è più. Il Domatore di Parole ricostruisce la loro vita, dando loro dignità e degna sepoltura.
È attraverso la voce profonda di Gilbert Sicotte che seguiamo Léolo nella sua crescita e nelle sue osservazioni, in un racconto non sempre cronologico o affidabile, che spazia dal fratello bullizzato che diventa un bodybuilder che non acquista fiducia in sé ai feticismi di un nonno che non possono che rendere geloso Léolo.
È un racconto di formazione grezzo e sporco, dove il sesso è spesso al centro dei pensieri, dove l'ingenuità dell'infanzia lascia spazio alle disillusioni dell'adolescenza, ma sullo schermo Léolo resta sempre uguale, non cresce e non cambia anche se attorno a lui i fratelli mutano, spariscono, dietro tormenti e dietro manie.
Viene da chiedersi come sia riuscito a girarlo Lauzon, un film così: personale e in parte autobiografico, ma soprattutto onirico nelle sue fantasie e eccessivo nel mettere un bambino (Maxime Collin, 11 anni all'epoca delle riprese) al centro di scene di masturbazione, sevizie di gatti e toccamenti con prostitute.
Non è facile incasellarlo né definirlo un film dal sapore e dall'odore così netto, come fosse un Delicattessen canadese senza apocalisse in corso e che strizza molto l'occhio all'Italia.
Da fieri patrioti come siamo, non abbiamo portato il titolo in palmo di mano nonostante sia stato girato in parte dalle nostre parti, con un'attrice italiana (Giuditta del Vecchio) e con una canzone italiana come tema ricorrente che riprende il testo da Emozioni di Mogol-Battisti, senza incappare in denunce o un minimo di fama in più.
Forse è perché è davvero molto strano, nel suo scorcio di vita e di speranze che confluiscono nella malinconia di un finale tragico.
Del protagonista, e del regista.
Forse ci vogliono giri strani nell'internet per arrivarci, ma è anche così, per caso e per tappe difficili da ricostruire, che certo titoli restano appiccicati addosso.
l'ho visto nel 2011 e sono d'accordo con te, comprese le virgole :)
RispondiEliminaavevo scritto:
Intanto la musica, c’è Tom Waits, Gilbert Becaud, Rolling Stones, Lucio Battisti (lui non viene citato alla fine della pellicola), voci del Tibet.
purtroppo il regista è morto a soli 44 anni per un incidente aereo.
il film è praticamente sconosciuto da noi, peccato, perché è bellissimo. Dentro c’è un mondo, e c’è il Cinema.
un capolavoro da (ri)scoprire