17 settembre 2024

Crimini Apple: Presumed Innocent - Lady in the Lake - Sunny

Se Netflix è stata divorata dall'algoritmo e non meriterebbe più il mio abbonamento (che poi è di mia mamma), Apple TV+  è diventata la piattaforma che sforna qualità.
Filmica o seriale, produce poco e pubblicizza ancora peggio, purtroppo.
E pensare che riesce ad attrarre nomi importanti per progetti niente male.
Leggere per credere:

Presumed Innocent

Il Caso: un'assistente procuratrice viene trovata morta ammazzata nel suo appartamento. A essere sospettato, il suo capo/collega e pure amante che viene messo sotto processo dai colleghi invidiosi che possono finalmente scavare nel personale.

Chi indaga: gli avvocati, più che la polizia. La difesa che cerca di mescolare le acque trovando nuovi colpevoli tra vecchi casi e parenti da incastrare, e l'accusa, che cerca prove e confessioni visto che di scottanti non ce ne sono.


Lo sviluppo: come le più classiche serie processuali, lo sviluppo è tutto dentro un processo dove non mancano i colpi di scena tra infarti e diatribe sul banco dei testimoni. La narrazione è portata avanti a favore di giura e di pubblico con la stessa giudice a farci da guida. I flashback sono pochi, e sono tutti bollenti, mentre come da tradizione gli ultimi minuti di ogni episodio sono un indizio o un nuovo sospetto per andare avanti con curiosità. Alla lunga, la formula può stancare ma su 8 episodi la si perdona.

Chi c'è: c'è Jake Gyllenhaal, e potrebbe bastare. Padre e marito e lavoratore apparentemente perfetto, nasconde bene i suoi segreti. C'è il cognato (nella vita vera) Peter Sarsgaard che si fa odiare quasi più del solito insopportabile O. T. Fagbenle (ho un problema con la sua voce, è chiaro), c'è una fragile Ruth Negga e ci sarebbe anche Renate Reinsve, ma per la maggior parte del tempo è un corpo martoriato o avvinghiato a Jake. Poteva andarle peggio nel suo approdo a Hollywood.

Funziona? In parte, e grazie agli attori coinvolti che non fanno temere il confronto con il film del 1990. Una serie classica, in cui David E. Kelley riesce a non strafare in fatto di glamour e patinatura, pur tagliando i personaggi con l'accetta.
Il finale volutamente a colpo di scena non cambia di molto il giudizio.

Voto: ☕☕/5


Lady in the Lake

Il Caso: nella Baltimora degli anni '60 una bambina scompare nel nulla e la polizia si mobilita. 
Dopo qualche giorno, pure una madre scompare nel nulla, ma essendo nera fa meno notizia. 
I due casi sono in qualche modo collegati e portano una moglie ebrea a staccarsi dal suo ruolo di casalinga e rivendicare la sua indipendenza.

Chi indaga: proprio Maddie Schwartz, che lascia la casa, lascia il marito e il figlio, per tornare a essere giornalista e farsi strada fra i due casi che la riguardano più di quel che pensa.
Indaga anche un poliziotto che diventa il suo amante, ma sarebbe meglio non agitare le acque perché la malavita locale non vuole essere disturbata.


Lo sviluppo: lo zampino di Jean-Marc Vallée alla produzione, prima della morte prematura, si sente e lo sviluppo va avanti e indietro nel tempo, con schegge di passato e di futuro che si inseriscono in un montaggio che fa la differenza nel racconto. 
Si indaga per sensazioni, purtroppo, per intuizioni e senso materno ma anche per colpi di scena che non ti aspetti e che cambiano l'andamento della serie, tra episodi musicali e onirici, flashback chiarificatori in parte. 
L'indagine, è più della risoluzione di un mistero.

Chi c'è: c'è Natalie Portman, ovviamente, facile da odiare in un ruolo non facile di primadonna piuttosto egoista e c'è Moses Ingram amica e madre e moglie e voce narrante che non vorrebbe si indagasse sulla sua morte. E c'è Alma Har'el alla regia.

Funziona? A suo modo, sì. 
Diversa nella struttura e nella produzione, sembra la figlia minore e in costume di Sharp Objects, con i legami di sangue e il passato tormentante a rendere complicate le donne protagoniste. Qualche riempitivo, qualche azzardo (il già citato I know who killed Cleo Johnson, 1x06) ci sono, ma rendono questa donna nel lago più affascinante di una tipica serie fatta con lo stampino con, che so, Nicole Kidman.

Voto: ☕☕/5

Sunny

Il Caso: Suzie perde in un incidente aereo figlio e marito. Siamo in un futuro più stiloso e ipertecnologico e l'azienda giapponese per cui lavorava Masa le invia un robot di sostegno con cui non vorrebbe avere a che fare ma che in realtà sembra nascondere una storia che racconta di più su quel marito geniale e pieno di segreti, sulle sue idee rivoluzionarie e su chi ha fatto precipitare quell'aereo.

Chi indaga: Suzie stessa, anche se stropicciata, arrabbiata, sotto gli effetti dell'alcol e del lutto. Lo fa assieme al robot Sunny che deve smussare la sua solarità per starle accanto e alla nuova amica Mixxy, barista e complice che la accompagna nel torbido mondo della malavita, dei combattimenti fra robot, dei codici per modificarli. 


Lo sviluppo: è altalenante, va detto. 
Gli episodi sono brevi, ma si prendono il loro tempo osando in creatività. 
Fra un episodio flashback finalmente chiarificatore (Trash or Not-Trash, 1x08) e uno in formato quiz televisivo (Who's in the Box?, 1x09) che porta al gran finale, Sunny sopperisce in fantasia una trama di per sé semplice.

Chi c'è: c'è Rashida Jones come splendida protagonista in lutto, misogina e burbera e per questo adorabile. E ci sono Hidetoshi Nishijima e Annie the Clumsy come attori spalla dai tempi comici ma anche dalla profondità inaspettata. E c'è soprattutto Joanna Sotomura a dare voce a Sunny in modo ironico.

Funziona? A suo modo, sì. 
Stupisce per i toni strani che porta avanti, affascina per quel Giappone che può far sentire sola un'occidentale, incuriosisce per i misteri che deve rivelare.
Una seconda stagione chissà se arriverà vista la poca pubblicità che gli ha fatto Apple TV+, ma con il colpo di scena con cui ci ha lasciati, spero di sì.

Voto: ☕☕/5

2 commenti:

  1. Mi trovi abbastanza d'accordo su Presunto Innocente, forse meno si La donna del lago, ma probabilmente perché mi aspettavo tanta roba

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    1. Mi ha spiazzato nel suo non essere la classica serie TV, ma quando ho visto il nome di Vallée tra i produttori ho capito perché aveva quel piglio diverso e ho iniziato ad apprezzarla di più.

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