Un altro piccolo film inglese, un altro film dedicato ai problemi dell'adolescenza e a quanto soli e diversi ci si può sentire.
A un passo dalla fine dell'anno, la vita di George Bobbin non sembra sorridergli.
Pessimi voti, nessun amico, genitori un filo imbarazzanti e sul procinto di divorziare e una passione per la musica che non viene capita.
Sogna il successo, sogna la grande folla che lo acclama, ma le basi semplici che crea, vengono sbeffeggiate dal maestro di musica che a quanto pare di musica non ci capisce niente.
Lo capiamo noi, semplici spettatori, che dietro quelle note che si ripetono c'è del potenziale per un'ottima canzone pop, lo capisce subito Max, figlio d'arte, con genitori cantanti freschi di divorzio che portano anche su di lui l'attenzione dei paparazzi ora che si sono allontanati da Londra.
Sarà perché decide di volare basso, sarà perché del potenziale Max lo vede in George, ma lo sceglie come amico, come insegnante di ripetizione, come partner musicale e forse anche qualcosa di più, se si trova il coraggio di dirselo.
È estremamente semplice la sceneggiatura di Bonus Track, e per quanto si voglia bene a Josh O'Connor che il soggetto l'ha pensato non è nemmeno così originale: un'amicizia e un'attrazione, un'elegia musicale, con i tipici confronti con la realtà fatta di bulli, imbarazzi, professori amici e altri che ostacolano. Tutto condensato in poco più di 90 minuti che sono manna dal cielo in estate ma che non permettono a questa amicizia e a questi sentimenti timidi di essere approfonditi, relegando al classico montaggio musicale il compito di fare da collante e a una gita fuori porta quella di essere galeotta.
Josh si ritaglia pure un ruolo in questo film poi scritto in semplicità da Mike Gilbert e diretto senza troppi guizzi da Julia Jackman, un ruolo tra il folle e il simpatico, inserito probabilmente per dare visibilità al progetto.
Purtroppo, i giovani Samuel Small e Joe Anders (figlio d'arte di Kate Winslet e Sam Mendes che i figli li stanno piazzando bene) risultano ancora acerbi e restano ancorati vuoi allo struggimento silenzioso, vuoi alla solarità mascherata, senza riuscire davvero a colpire. Acerbi come richiesto dall'età dei personaggi, ma senza la chimica e l'allure giusto per colpire.
Cosa si salva, allora, di questo piccolo film inglese?
La musica, che è quella del 2006 in cui il film dice di essere ambientato (ma se si toglie l'assenza di smartphone e social non ci si accorge del contesto diverso) passando dai Franz Ferdinand ai The Streets che danno il nome ai capitoli in cui il film è diviso, e ovviamente A Very Bad Fun Idea, la canzone composta da George e cantata da Max, che come prevedibile è catchy al punto giusto da conquistare l'immancabile talent show scolastico che tutto riabilita ma nella realtà registrata da Olly Alexander.
L'avevo detto che era un film semplice e prevedibile, ma una serata, volendo, la salva senza farsi male.
Voto: ☕☕½/5
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