31 agosto 2018

Venezia 75 - José ; C'est ça l'amour

Sono quei film piccoli, delle sezioni parallele che riempiono i pomeriggi.
Sono film su cui -se non vale troppo la pena- quest'anno preferisco spendere poche parole, per appuntarli e non dimenticarli, a risparmio di energie.

José

La vera notizia -e forse motivazione dietro la sua presenza- è che è il primo film dal Guatemala a sbarcare al Lido.
La seconda, che si tratta di un film a tematica omosessuale, che un amore tra due ragazzi mette in scena, in un paese ultracattolico che l'omosessualità vede ancora come peccato e reato.



Ci si aspetterebbero scintille, quindi, ma se la cinematografia guatemalteca è acerba, acerbo è anche José che racconta la quotidianità di un ragazzo diviso fra l'amore materno e quello di un amante deciso ad andarsene, spossando il racconto con le giornate che passano, i mesi pure, gli stessi incontri a ripetersi.
Il problema è che si cerca di dare uno spessore alla storia, di provocare non risparmiando esplicite scene di sesso ma soprattutto costruendo dialoghi statuari neanche fossimo a teatro, arrivando poi ad un finale tronco non ben chiaro.
Di buono, resta un occhio attento ad inquadrature spiazzanti.
A sua e a mia difesa, c'è da dire che già su carta José non era previsto nel mio programma, gli preferivo di gran lunga Mi Obra Maestra, ma proiettarlo nella minuscola Sala Casinò è una scelta che continuo a non capire.

C'est ça l'amour


Una famiglia intera impegnata a capire, accettare, cercare l'amore.
Un padre, che con l'amore deve fare i conti ora che la moglie l'ha lasciato.
Una figlia maggiore, che non vuole legami, non vuole romanticismi, forse perché scottata da una separazione improvvisa, da una figura materna che se n'è andata.
Una figlia minore, che l'amore lo prova per un'amica, dandosi però troppo e troppo in fretta.
E poi c'è l'amore di famiglia, quello che unisce ma che soprattutto separa, che fa infuriare, che spinge i limiti. Quel padre gioca ogni carta per riconquistare una moglie indifferente, s'iscrive ad un percorso teatrale nel teatro in cui lavora, più per sfida che per convinzione.
Finirà, come sempre, che recitando una parte -anche quella di se stesso- capirà meglio quello che prova e quello che vuole.
Tagliato di alcune sue parti, smussate certe stranezze e certi caotici interni, il film di Claire Burger non sarebbe così male. Ma troppo spesso ci chiude in un caos drammatico non richiesto, in musi lunghi e ceffoni necessari. Sembra sempre mancare qualcosa, i giusti protagonisti, forse, il guizzo in più, che arriva tardi sotto gli effetti dell'MDMA, che arriva quando ormai ci si è stancati di questa ricerca.

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