La strage nelle scuole ad opera di adolescenti non è un tema
nuovo per il cinema. C’è chi lo ha affrontato in modo lento e poetico nel suo
accadere come Gus Van Sant (Elephant), o chi ne ha cercato le cause e i responsabili
come Michael Moore (Bowling for Columbine). E ora parliamo di Kevin va oltre
una schematica ricerca del colpevole per concentrarsi su un punto di vista
diverso e drammaticamente sempre presente: quello della madre dell’autore di
una strage, di chi un tale “mostro” lo ha generato.
Tilda Swinton interpreta magistralmente una madre che madre
non voleva esserlo, che vede nel figlio la causa delle sue rinunce, di una vita
frustrata votata ora alle mura domestiche. Che sia questo suo atteggiamento o
che sia un senso di sfida innato da parte del figlio Kevin a trasformarlo nel
bambino prima e nell’adolescente poi problematico e difficile non è però
ciò a cui il film vuole dare risposta.
Al centro del film sta per l’appunto il rapporto
madre-figlio, il suo nascere, il suo rompersi continuamente e, forse, il suo
ricostruirsi. La Swinton è protagonista assoluta ed è attraverso i suoi
flashback, i ricordi e le memorie che spuntano a farci ricostruire un passato tragicamente
teso, contenuto ma pronto ad esplodere in modo inaspettato ed agghiacciante nel
finale. E ora parliamo di Kevin affronta tutto ciò con una scelta stilistica
particolarmente efficace attraverso una narrazione non lineare che permette di
seguire il difficile processo di accettazione e di analisi di una ferita aperta
e dolorante.
L’attenzione è posta anche ai particolari: la cromaticità
del film, con un colore rosso che ci aggredisce già nei titoli di testa ad
indicare quel sangue e quella violenza che ricorrerà fino alla fine, e la
musica composta dal chitarrista dei Radiohead Jonny Greenwood che ben sottolinea
la tensione.
E ora parliamo di Kevin non è certamente un film facile, non
tanto da vedere, quanto da digerire. Perché il tema come il suo essere messo in
scena colpisce e ammutolisce il pubblico, reso ancora più inerte, testimone di
una verità tanto scomoda quanto purtroppo reale.
Film che nel mio passato di recensore per il sito UpperPad ho avuto modo di stroncare. Lo trovai una cosa noiosissima, oltre che davvero inconcludente per certi versi. Ultimamente la sto rivalutando, ma continua a convincermi poco, anche se a livello visivo è qualcosa di davvero incredibile.
RispondiEliminaSarà stata la mia sensibilità femminile, ma mi ha colpito come pochi altri film del 2012. La Swinton era perfetta, algida e fredda ma allo stesso tempo sconvolta internamente e la vicenda, per quanto già trattata altrove, qui viene analizzata da un nuovo punto di vista decisamente interessante. Per quanto silenzioso e a tratti lento, è un film che ti arriva dritto allo stomaco, e che non trovo inconcludente visto un finale che è la conclusione e l'inizio di un percorso.
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