27 agosto 2014

Venezia 71 - Before I Disappear | One on One

La prima giornata in quel del Lido deve ancora finire.
In attesa di fare le ore piccole con Oppenheimer, primo film in concorso, e di scoprire cosa ha combinato Iñárritu con Birdman domani mattina, ci sono già le prime parole da spendere su quanto visto finora, che mette in spolvero le Giornate degli Autori.
Nonostante qualche inconveniente tecnico (vedi allarme antincendio in sala che blocca la proiezione, e che riparte da quel quarto d'ora prima dello stop), l'aria che si respira è già quella frenetica di un Festival ben avviato. Anche se, all'entusiasmo iniziale va' ad aggiungersi una delusione di gran lustro.


Before I Disappear
Dopo l'Oscar con il cortometraggio Curfew, Shawn Christensen ha deciso di dare una nuova linfa al suo soggetto, portandolo al mondo del lungometraggio e infittendo la trama.
Il risultato è decisamente fresco e ironico, nonostante un soggetto non poi così nuovo: un aspirante suicida si vede -più volte- richiamato alla vita dalla sorella, che gli affiderà volenti o nolenti la nipote. Questa, genietto scorbutico, dopo l'inizale diffidenza lo conquisterà, dandogli una ragione per non morire e per fare i conti con un lutto, e una vita, da affrontare.
La realizzazione di Christensen è di quelle indie che tanto piacciono, e che punta soprattutto su una musica preponderante fatta di grandi classici del rock che parte e riempie la scena portandola ad essere quasi una collezione di videoclip. Ad alzare il tono, gli ottimi interpreti provenienti dal mondo serial come Emmy Rossum (sempre splendida e vera), Paul Wesley e Ron Perlman. Ma a batterli tutti ci pensa la giovanissima Fatima Ptacek, incredibile Sophia che con Richie/Shawn instaura un'alchimia a prova di bomba.
Speriamo di vederlo presto nelle sale, se lo merita.

One on One
Kim Ki-duk alla violenza c'ha già abituato. Dopo lo scandaloso (ma anche un po' ridicolo) Moebius, torna a Venezia con un film chiaramente politico, che nelle sue intenzioni vuole denunciare un mondo e una realtà insensata ma che continua a persistere in Corea e non solo.
Violenza genera violenza, vendetta genera vendetta, e anche chi sta nel giusto, cade inevitabilmente in un circolo vizioso dal quale difficilmente si esce a suon di sangue e torture.
E così la morte di una ragazzina scatena la furia di un manipolo di uomini altrettanto soli e annichiliti dalla vita, alla ricerca di una verità di volta in volta rimbalzata.
Diversamente dal solito, però, pur non risparmiando nessuna scossa elettrica, nessuna martellata e nessun colpo, il regista si lascia andare a un profluvio di parole, infarcendo così un film sulla carta potente, di tanta, troppa, retorica e morale. Spiegoni come se piovesse, quindi, che vanno a impoverire un messaggio e anche una realizzazione, insolitamente fiacca e priva di quella fascinazione a cui il coreano ha abituato.

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