Un Into the Wild al femminile.
Non può che essere questa la prima definizione che viene in mente una volta sentita la trama del nuovo film di Jean-Marc Vallée.
Perchè abbiamo una ragazza alla ricerca di sé che s'incammina per l'impervio sentiero del Pacific Crest Trail, compiendo due mesi di cammino, affrontando le sue paure oltre che le forze della natura.
Perchè abbiamo una natura selvaggia che diventa protagonista, abbiamo riflessioni e filosofie.
Ma non abbiamo un carattere sociale per queste riflessioni, non abbiamo quella visione economica del mondo, quella libertà voluta e cercata a tutti i costi che ha fatto di Alex Supertramp un modello, un'icona.
Qui abbiamo una donna che deve fare pace con se stessa, prima di tutto, riuscire a perdonarsi gli innumerevoli errori di una vita buttata e sprecata nella droga e nel sesso promiscuo, peccati espiati proprio attraverso quel cammino, tra piaghe e vesciche, che non ci vengono risparmiate.
E allora la definizione di Into the Wild al femminile sta un po' stretta, perchè come c'è molto di più c'è anche molto di meno in Wild.
Qui ci si focalizza su Cheryl, una di certo non esperta escursionista che infatti si trova a partire con uno zaino presto soprannominato mostro, carico di ogni tipo di suppellettile, che la martirizza, che la impedisce. La vediamo fin dall'inizio alle prese con le difficoltà, provando più derisione che pietà nei suoi confronti.
Poi però, poco a poco, la conosciamo, vediamo attraverso flashback via via più chiari il suo passato ricco di tormenti e di errori, una madre (un'intensa Laura Dern, la cui candidatura all'Oscar sembra comunque un riempitivo) persa prematuramente, un padre violento lasciato alle spalle, un marito tradito, il vortice della droga e del sesso a risucchiare le sue energie, e quel cammino, che come un miraggio le si presenta di fronte e che ora compie per punirsi, per accettarsi.
Con lei impariamo l'importanza delle scarpe comode, come procacciarsi l'acqua, i pericoli che per una donna, immersa nella natura, sono sicuramente maggiori rispetto a quelli di uomo.
Tutta la sua impreparazione, unita però alla sua caparbia, finiscono così per rendercela umana, magari non un'icona da venerare e imitare, ma una personalità forte e fragile da capire.
Il merito di questo cambio di giudizio è da imputare a Reese Witherspoon come a Jean-Marc Vallée. La prima, decisa a cambiare rotta ad una carriera che si era arenata, si è tirata su le maniche, passando anche al lato della produttrice (lei, infatti, a comprare i diritti del romanzo Gone Girl, cedendo poi il ruolo che voleva a Rosamund Pike, più adatta) ha scovato nel libro autobiografico di Cheryl Strayed la storia giusta da raccontare, passata per le mani di Nick Horby in veste di sceneggiatore, e mettendosi sulle sue di spalle tutto il peso di interpretarla.
Il regista dopo gli Oscar di Dallas Buyers Club, invece, ci mette il suo zampino, procedendo lentamente -a volte troppo-, lasciandosi andare a schizofrenici flashback che poco a poco compongono il puzzle, mostrandoci le bellezze come le insidie di una natura che si scopre essere affollata, ai bordi della società.
Insieme, i due convincono, magari non subito, magari con qualche dilungaggine di troppo, con qualche momento che suscita noia, ma passato del tempo, visto da lontano, Wild è un bel ritratto, sbiadito in alcuni punti, tagliente in altri, malinconico, feroce e selvaggio, proprio come il soggetto raffigurato.
PIaciuto parecchio, e del tutto inaspettatamente. Non era il mio genere, la Witherspoon è di un'antipatia unica, però la riuscita mi ha soddisfatto. Sfiora tanti registri diversi, ci sono bellissime canzoni a fare da leitmotiv e questo viaggio dentro e fuori di sé, soprattutto grazie alla protagonista, tocca. Si vede che c'è la firma di Hornby - sa più di romanzo che di storia vera - ma è giusto così. Almeno ha un senso. :)
RispondiEliminaLa noia e il fastidio iniziale si sono trasformati in un piacere visivo, e carico di lacrime. Non credevo nemmeno io di poter cambiare idea, e invece..
EliminaE' in rampa di lancio, ma continua a non ispirarmi per niente.
RispondiEliminaDel resto, a me non è piaciuto neppure Into the wild. ;)
Ah bè, e allora capisco tutti i pregiudizi del caso. Qui la vicenda è comunque più umana e più personale, potrebbe stupirti.
EliminaIo "Into the wild" l'ho proprio odiato quindi, a patto che questo non viaggi su binari totalmente opposti, credo lo bypasserò senza problemi...
RispondiEliminaTotalmente opposti proprio no, alla fine il viaggio è simbolo e espressione del cambiamento, però il lato femminile,e il passato della protagonista la rendono più di facile accesso, nonostante qualche lungaggine.
EliminaMi ha parecchio annoiata. Sarà che ero imbufalita perché ero arrivata tardi per la proiezione di Whiplash, quindi l'ho visto come alternativa - poco valida - mi ha appassionata più la storia da ragazza perduta che il suo viaggio di redenzione... :-/
RispondiEliminaImmagino non sia partito con il piede giusto, e ti dirò, momenti di noia li ho subiti anch'io, ma rivedendolo con distacco, mi ha convinto, più in quello che mi ha lasciato che in quello che mi ha trasmesso durante la visione, non so se sono riuscita a spiegarmi :)
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