Poche sono le serie comedy che mi strappano sonore risate.
Unbreakable Kimmy Schmidt è sicuramente una di queste.
Il motivo, al di là di una trama che incontra subito l'interesse, è una scrittura a dir poco geniale che si basa su tanta ironia e un umorismo che è quindi disincantato e sorprendete, che prende vecchi cliché, vecchi giochi di parole, mode e modi di dire, risputandoli fuori in un mondo e in un modo colorato a cui è impossibile resistere.
D'altronde, se gli ultimi 15 anni della propria vita li si passasse in un bunker sotterraneo rapiti da un predicatore che crede sia avvenuta l'apocalisse, una volta liberi e rilasciati a New York, voi come vi comportereste?
Kimmy, con paure e una dose massiccia di ingenuità, abbraccia la sua nuova vita e nel primo giorno di libertà trova un lavoro (presso una ricca e viziata famiglia) e una casa (un appartamento condiviso con un afroamericano gay aspirante cantante di Broadway).
La sua vita non sarà però semplice, con il passato (che vuole nascondere) e le sue paure a farle da costante monito e con nuove mode, nuove tecnologie e in pratica tutto un nuovo mondo con il quale approcciarsi con una mentalità e riferimenti culturali e gergali rimasti fermi agli anni '90.
Ovvio quindi che i misuderstanding non mancheranno, e con quelli le occasioni per battute e momenti non sense a strappare tante di quelle sonore risate (lezioni di eterosessualità, operazioni chirurgiche da dottori di plastica, lezioni di spinning da guru, appuntamenti con eroi di guerra), anche perchè se Kimmy sembra uscita da un cartone naif, le sue spalle sono altrettanto esilaranti: dall'egocentrico e irresistibile Titus a quella seconda moglie e matrigna che sotto strati di botulino e trucco ha un'anima niente male che legherà con Kimmy, trovando in lei una vera amica, per finire con Lillian, la strampalata, probabilmente spacciatrice e assassina padrona di casa.
La serie che vanta al suo interno numerose e altolocate guest star (Tina Fey -anche produttrice-, Dean Norris, Kiernan Shipka e pure un certo Jon Hamm) si snocciola in episodi a volte a senso unico a volte più orizzontali che portano nel finale la nostra Kimmy a ritornare nel suo passato, ad affrontare l'esperienza del bunker e a chiuderla forse per sempre.
Si ride, davvero tanto, grazie anche a momenti musicali surreali (a partire da una sigla che si fa tormentone) di cui Titus ci fa spettatori e grazie a un'irriverenza che non smette mai di stupire.
Così, anche se qualcosa viene lasciato in disparte, se alcuni personaggi o sottotrame vengono abbandonati, poco importa, perchè le risate seppelliscono anche questi difetti e una volta finita questa piccola maratone targata Netflix, ne vorremmo ancora e ancora!
Molto divertente, una delle mie preferite della scorsa stagione
RispondiEliminaLo é sicuramente anche per me, anche se recuperata con un po' di ritardo!
EliminaL'ho iniziata oggi, e già l'adoro!
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