Mentre una ragazza attraversa il periodo peggiore della sua vita, perdendo il lavoro, il fidanzato e continuando la sua vita da alcolizzata, un mostro compare a Seul e semina morte e distruzione.
Si scoprirà che i due -quella donna e quel mostro- sono la stessa persona, o meglio, posta lei in un dato luogo e in un dato orario, compare dall'altra parte del mondo in quelle mostruose sembianze.
Potrebbe essere uno di quelle strane pellicole catastrofiche con un tocco ulteriore di surreale, quella donna potrebbe essere la chiave per salvare il mondo, l'unico mezzo per mettere fine a questo incubo mostrato in tante scene d'azione.
Poi però guardi il cast, capitanato da una leggera Anne Hathaway, dal prezzemolino Dan Stevens e dal buffo Jason Sudeikis, e allora pensi di trovarti di fronte a una commedia piuttosto demenziale, dallo spunto decisamente geniale, in cui tra qualche palazzo che crolla, qualche bevuta e pure qualche amore che sboccia, tutto si sistemerà.
Invece Colossal non è né l'uno né l'altro film che ti aspetti.
Colossal è una colossale metafora.
Perché il vero mostro è quella donna stessa, è Gloria e il suo problema con l'alcolismo, quel suo bisogno di bere e dimenticare, di provarci e sbagliare.
Ritornare a casa per sistemare quella relazione finita male e quella vita rimasta in sospeso, non è stato un bene, soprattutto se si ritrova quel vecchio compagno di scuola, che in un bar lavora e beve pure lui fino a tardi, con amici beoni che si portano appresso altri problemi.
Oscar si rivela così la peggiore della compagnie, e ti illudi che quel ritrovarsi, dopo anni, quell'essere entrambi collegati a quanto accade a Seul, sia un segno e una nuova deriva catastrofica del boy meets girl, invece no, entrambi hanno quel mostro dentro, che tutto distrugge.
La svolta, onestamente, è imprevedibile e non gestita al meglio, la metafora è potente su carta meno sullo schermo, in cui il non troppo simpatico Sudeikis si trasforma in qualcosa che non è, e non si capisce quanto ancora Nacho Vigalondo (un nome, un programma) possa spingere oltre l'asticella del limite.
Meglio la prima parte, allora, leggera e scanzonata, meglio Dan Stevens che cerca di risolvere il suo rapporto, meglio la Hathaway che ride e scherza, si addormenta e dimentica, che non eroina del mondo e di se stessa.
In quella prima parte, ci si prende in giro, si scherza su musiche alla Wes Anderson che invece ci sono, si gioca con arredi e colori.
La deriva seria, la deriva metaforica, non centra il bersaglio, o almeno, non il mio consenso.
Regia Nacho Vigalondo
Sceneggiatura Nacho Vigalondo
Musiche Bear McCreary
Cast Anne Hathaway, Jason Sudeikis, Dan Stevens
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Non dirmi niente, ma Dan Stevenson lo patisco tanto: sta sempre in mezzo? (Giustifico solo Fassbender.) Sul film, più o meno, la pensiamo alla stessa maniera. La metafora è bella ma gestita così così, soprattutto nel finale, però i toni son giusti e loro bravi. Mi ha divertito, pur con quella punta di serietà e amarezza non messa in conto.
RispondiEliminaCome Fassbender, però, io lo giustifico. Sarà che imbellettato e pomposo ai tempi di Downton Abbey, è sempre una bella sorpresa ritrovarmelo qua e là nelle visioni in vesti moderne.
EliminaIl film, mah, male non è, la prima parte la salvo ma non tutto torna. Geniale, in ogni caso, l'idea.
Colossale porcata, o colossale genialata?
RispondiEliminaNonostante non abbia trovato il tuo consenso, questo film continua a ispirarmi abbastanza e confido, se non sulla sua completa riuscita, se non altro sulla sua originalità.
Originalità ce n'è parecchia, ma Nacho non l'ha gestita al meglio. Una visione -estiva e leggera, ma non troppo- se la merita in ogni caso :)
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