Lo dico fin da subito: non mi è mica piaciuta questa corrispondenza.
Non che mi piacciono di per sé i romanzi epistolari, con le parole scritte da altri a cui manca la descrizione, la narrazione più pura e che quindi mettono una distanza.
Qui, poi, a scrivere è sempre lui, Berlicche, al nipote Malacoda di cui non sapremo mai le risposte, le giustificazioni, ma il destino sì.
Qui, poi, a scrivere è un Diavolo.
Un diavolo, sì, di quelli di rango superiore che si prende cura del nipote, in missione nel mondo per conquistare anime. Ma alle prime armi di errori ne commette parecchi, e sempre viene richiamato e redarguito da uno zio piuttosto irritante e supponente.
Irritante, in realtà, è l'argomento in sé, un modo -geniale, irriverente, intelligente, va bene- per filosofeggiare sul mondo e sulla Chiesa, con il Nemico (ovvero Dio) sempre in agguato per tenersi strette le anime degli esseri umani.
Lewis, in passato fervente ateo, qui ateo non è più, e pur facendo parlare un diavolo, mostra il potere salvifico delle preghiere, dell'unione, soprattutto in tempi di guerra che sono i tempi in cui queste lettere vengono scritte. Mostra la psicologia e le psicosi di un uomo che vive sotto i bombardamenti.
Ora, ovviamente queste lettere sono un espediente per parlare del mondo, della crisi di coscienza, della forza dell'amore, delle preghiere, della Chiesa tutta. E dell'orrore della guerra.
Ora, pur con trovate piene di ironia, il tutto ha la forma di un saggio, di una lezione non solo al pasticcione Malacoda, ma a noi, con Lewis in cattedra (come sua prassi, professore per 30 anni ad Oxford com'è stato), distante ancora dalle sue Cronache di Narnia, più fantasiose, più libere.
Forse mi mancano le basi per questo filosofeggiare, forse semplicemente l'interesse e l'attenzione.
Sul banco che è stato il mio letto, il mio divano, la noia e la stanchezza han quindi prevalso a più riprese. Il povero giovane toccato in sorte all'altrettanto povero Malacoda aveva un destino segnato. Questo libro pure, che nella sua brevità (appena 130 pagine), è pesato più di altri mattoni.
No, non è stata una corrispondenza di amorosi sensi.
Lewis ateo??? mah, avrà avuto un momento di agnosticismo come capita a tutti i credenti con un lobo frontale. Per il resto, decisamente credente... le cronache sono al limite dell'apologia dell'anglicanesimo!!
RispondiEliminaNell'introduzione al libro di cui ho letto i primi anni di vita di Lewis per non sapere troppo di Narnia (che ancora non ho letto/visto), lo definivano ateo, la conversione l'ha avuta dal 1932, quindi sì, pure qui era già un fervente anglicano, e mi spiego meglio i temi trattati. Grazie per la segnalazione, correggo :)
EliminaL'autore di Narnia?
RispondiEliminaRomanzo epistolare?
Potere salvifico delle preghiere?
E poi hai ancora paura degli horror? ;D
Meglio un horror che una lettura come questa, saran state appena 100 pagine ma valevano come 1000.
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