4 luglio 2018

Beach Rats

E' già Ieri -2017-

La riflessione nasce spontanea dopo domenica: se i Pride sono ancora necessari, è anche per persone come Frankie.
Frankie che non si accetta, che si nasconde dietro il fare da macho, che cerca di anestetizzarsi con l'erba, con pasticche, che cerca di assecondare i modi machi dei suoi amici rimanendo con una ragazza che chiaramente non lo può soddisfare, e cercando quelle soddisfazioni nel pericoloso mondo del web, con incontri al buio, dove la paura fa parte dell'eccitamento.



Frankie vive a Brooklyn, nei giorni nostri, e viene da chiedersi perché si ha ancora paura della propria natura, lì, dove il corpo è sempre esposto, sempre più curato, lì dove la sessualità si fa sempre più precoce.
Questione di educazione?
La famiglia di Frankie non sembra di quelle castranti, castrante è forse il momento che non aiuta Frankie a confrontare e liberarsi dai suoi demoni, dalle sue paure, con un padre in fin di vita per il cancro, una madre alle prese con il lutto che però sa, sente quanto il figlio si trattiene.
Così sono quegli amici che scherzosamente non ritiene amici a definirlo, sono le bravate che con loro fa, i muscoli ben in mostra, la spavalderia e il bisogno di trovare sempre altra erba, altri soldi per affrontare un'estate che ha il sapore di tutte le altre, in cui anche i fuochi d'artificio hanno perso di romanticismo.


Beach Rats segue stretto stretto Frankie, ci mostra pezzi della sua vita, del suo corpo, accompagnandolo alla ricerca di ciò che gli piace, di ciò che lo terrorizza, dimostrando come certi atti omofobi nascano proprio dall'incapacità di accettare la propria omosessualità.
Peccato che a Beach Rats manchi il guizzo, manchi pure un po' di profondità in quell'amicizia che non sembra così stretta, e manchi soprattutto originalità in una storia che sì, è bene raccontare ma che già si è raccontato in modo più efficace. Se film young adult come Tuo, Simon e Ogni Giorno mettono in leggerezza l'accettazione di sé e la mancanza di etichette quando si parla d'amore, qui si punta su una maggiore pesantezza e pure su una certa morbosità.
Tra inquadrature ravvicinate e traballanti tipiche di piccoli film che però finiscono per sembrare sempre lo stesso film, c'è un Harris Dickinson ad illuminare la scena, lui che aveva già saputo rubarla al "nonno" Donald Sutherland e alla "madre" Hilary Swank in Trust, nei panni dell'hippie dorato John Paul Getty III.
Giovane, impaurito, fragile e fisico, il suo Frankie come già Antoine Doinel cerca risposte e libertà nel mare, ma pure qui il finale sa di già visto, ed è un peccato perché questi ratti da spiaggia sembravano avere altre potenzialità.

Voto: ☕☕/5


4 commenti:

  1. Visto sul finire dell'anno scorso e onestamente, nonostante il parere positivo di Dolan su Instagram, né capito né messo a fuoco. Il pregio: un protagonista che farà strada.

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    1. Dolan ha fregato entrambi, me l'ero segnato proprio sotto suo consiglio ma c'ho trovato gran poco di originale o eccezionale, Dickinson a parte che dimostra pure qui di saper rubare e illuminare la scena.

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  2. Peccato, perché sembrava interessante...

    Ma siamo sicuri sia Harris Dickinson? Rispetto a Trust pare irriconoscibile.

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    1. Infatti ho passato tutto il film a chiedermi dove lo avessi visto, che lo sguardo qualcuno mi ricordava, ma quando wikipedia mi ha detto: è JP Getty III sono rimasta di stucco. Lui resta bravissimo, il film delude abbastanza rimanendo anche troppo radical...

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