21 aprile 2021

The United States vs Billie Holiday

L'appuntamento con il biopic da Oscar non manca mai.
Puntuale, fra i vari film nominati, deve esserci.
Certo, rispetto a un tempo le biografie di personaggi storici e famosi sono calate, sia per l'interesse del pubblico che latita, sia per quelle che meritano davvero di essere raccontate.
Fra queste, nonostante una certa stanchezza del genere, non poteva mancare quella dedicata a Billie Holiday.
Cantante dalla voce d'angelo e dalla vita infernale costellata di abusi, ma soprattutto, cantante nera impegnata.
Cantante scomoda all'FBI di Hoover, soprattutto. 
Che riesce a metterla per un anno in carcere, che riesce a revocarle la licenza per cantare, che vorrebbe riuscire a fermare la forza tragica e dirompente che la sua Strange Fruit ha.
Una canzone che racconta di un linciaggio, in un'America ancora (ehm…) profondamente razzista, in cui il KKK ancora colpisce, in cui il linciaggio non è ancora fuorilegge. 
Già.


Una storia così, una vita così passata a calcare palchi prestigiosi entrando dalla porta di servizio, iniziata in un bordello con l'uso dell'eroina essenziale per farcela, una vita così, andava raccontata.
Lo si fa avvalendosi di una protagonista strepitosa come Andra Day, cantante misconosciuta da noi, qui al suo esordio capace di dare corpo -appuntato di gardenia bianca- e voce, a Billie e i suoi tormenti.
Ma questo non giustifica il fatto che la sua vita così poco classica dovesse finire in un film biografico di stampo classico.
Di quelli che si confondono un po' tutti, che alternano momenti felici a ricadute, innamoramenti con decisioni brusche, squarci del passato con lunghi momenti canori.
Manca il graffio, manca la zampata, manca il coraggio di fare qualcosa di diverso, di nuovo.
O di rendere meno polverosa questa classicità.
Non so se mi sono spiegata. 
Ma c'è una cura maggiore negli abiti che nella scrittura, ecco.


Il tutto resta comunque a servizio di Andra Day, che giustifica il Golden Globe vinto anche se non riuscirò a tifarla agli Oscar vista la concorrenza eccellente, viste quelle scene esplicite che sembrano superflue se non gratuite.
Ci si dilunga per 130 lunghissimi minuti, che si sentono tutti.
Con la caccia e l'amore impossibile già archiviato, con le esibizioni che ormai non si contano più, che altro c'è ancora da raccontare, vien da chiedersi a un certo punto.
Prende spazio la sua gang, per poi sparire, con il racconto che parte da un'intervista a ripercorrere la sua carriera, ma Leslie Jordan ricompare con il suo imbarazzante entusiasmo solo alla fine, senza dare quel ritmo, quella struttura, che il film poteva avere.


Il tema politico, l'impegno politico, l'importanza politica della vita di Billie Holiday è innegabile, ma in un anno in cui pure Judas and the Black Messiah si schiera contro il razzismo dei piani alti del governo, finiscono entrambi per cadere nella retorica del film da stampino per gli Oscar.
Purtroppo per loro e per gli attori coinvolti.

Voto: ☕½/5

7 commenti:

  1. L'ho patito molto meno di A Night in Miami, Ma' Rayney's e Judas ma comunque, anche in questo caso, nulla che valesse candidature o simili, anche se lei è effettivamente molto brava.

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    1. Per fortuna si sono limitati a candidare solo lei, brava davvero ma viste le altre in categoria non è tra le mie favorite.

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  2. Ne ho visto trenta minuti la sera scorsa. Lo riprendo in questi giorni. La sua bravura, enorme, mi era già saltata all'occhio.
    Judas, invece, non lo voglio recuperare, uff.

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    1. perchè Judas no? a me non è spiaciuto

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    2. Come Judas, pecca di classicismo. Non che ci sia qualcosa di male, però sono quei film stanchi che nonostante quello che raccontano non creano il giusto impatto. E soprattutto, fanno pensare in quale modo -migliore- la stessa storia poteva essere raccontata.

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  3. Eh sì, una grande storia e un grande personaggio raccontati non al meglio.
    La protagonista però è strepitosa, diventa Billie Holiday in maniera molto naturale e non forzata, e quindi applausi a lei.

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    1. Nonostante la bravura assurda dell'esordiente Andra, ho temuto potesse vincere lei ieri sera.
      In realtà, mi sono ritrovata delusa pure dal premio a Frances, che anche basta su, avevate Carey lì!

      In ogni caso, la vita della Holiday si meritava di meglio vista la complessità, una bella miniserie potrebbero farla in futuro.

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