13 aprile 2021

Brits Do It Better: The Serpent - It's A Sin - The Salisbury Poisonings

Gli inglesi, le miniserie, le fanno meglio.
Brevi e concisi da sempre, non si perdono in fronzoli e regalano perle televisive.
Ancor più quando trattano di storie tristemente vere.
Questi tre esempi ne sono la dimostrazione:

The Serpent

In Breve: storia e macabre imprese di Charles Sobhraj, conosciuto come Il Serpente, trafficante di gemme, truffatore e serial killer che ha seminato il terrore tra India e Thailandia negli anni '70 senza in realtà allarmare in alcun modo la polizia per mesi. Le sue vittime erano hippie e backpackers, viandanti liberi alla scoperta dell'Asia che ammaliava, invitava in casa, avvelenava per rubar loro denaro e passaporti.
Senza morale e senza remore, con i suoi complici.
Ad accorgersi delle sue azioni, un diplomatico olandese che deve scontrarsi con burocrazia, corruzione e mancanza di fondi per riuscire ad incastrarlo, con l'aiuto della moglie e dei vicini di casa.
Una storia tanto assurda quanto vera, purtroppo.


Chi c'è: c'è Tahar Rahim protagonista che riesce ad incarnare il fascino del male che emana Sobhraj con una freddezza da applausi.
C'è Jenna Coleman, companion di fiducia pure qui nei panni di una complice stregata da quel fascino, e poi ci sono Billy Howle e Ellie Bamber a dar loro la caccia. Tutti impegnati a camuffare e imparare accenti stranieri, e a farlo in modo impeccabile.
Che cast!

Momento Migliore: il terzo episodio è da cardiopalma. 
Davvero. 
Non ho respirato per tutta la parte finale e quasi mi sono messa a piangere per la liberazione da quest'ansia che accompagna poi quasi tutti gli episodi. Degno di appartenere al genere true crime, sa come far leva su "un altro episodio, un altro ancora".

Funziona? Sì. 
Bisogna prendere la mano con i tanti salti avanti e indietro nel tempo con cui il racconto è costruito, a volte ci si perde ma le fila poi si uniscono e si sviluppano. 
Certo, il finale sa essere frettoloso e stringere improvvisamente i tempi visti gli anni che passano, e per certi colpi di fortuna, certe mancanze di controlli alla frontiera, c'è da affidarsi alla sospensione dell'incredulità. Ma se la storia è vera e se Sobhraj è riuscito per così tanto ad agire indisturbato, un motivo c'è.
La dedica finale, poi, dà quel tocco di commozione in più.

Voto: ☕☕/5

It's A Sin

In Breve: anni '80, Londra. Meta di rifugio e nuova casa per giovani omosessuali che lasciano famiglie strette in cui la loro identità non è accettata. 
Ma anche anni in cui il virus dell'AIDS si presenta e inizia a mietere nel silenzio più totale delle istituzioni e della preparazione medica con tanto di complottisti, vittime su vittime, stroncando sul nascere sogni, amori, futuri. Anche quelli di questi protagonisti, aspiranti attori o semplici giovani alla ricerca dell'amore, della festa, dell'essere se stessi.


Chi c'è: c'è una colorata, adorabile, sgangherata compagnia che abita nel Pink Palace. 
Abbiamo un magnifico Olly Alexander protagonista difficile da amare, Callum Scott Howells, silenzioso e timido quanto basta, Omari Douglas, eccentrico e irresistibile e poi la madre/amica/confidente Lydia West. Abbiamo anche le comparsate di una certa importanza date da un Neil Patrick Harris quanto mai commovente, e Stephen Fry.
Ma abbiamo soprattutto Russell T Davis a creare il tutto.

Momento Migliore: il confronto finale, in riva al mare in cui fra le lacrime e il silenzio si accetta l'ennesima notizia che non si vorrebbe sentire. 
Un momento difficile da dimenticare.
Colonna sonora, poi, da urlo. Chicche dell'epoca che partono tra feste, sequenze erotiche e titoli di coda, e che danno pure il titolo alla serie.

Funziona? Sì.
Fra lacrime e applausi, Russell T Davis torna a parlare della comunità gay dopo aver aperto le porte con il suo Queer as Folks, e lo fa affrontando un elefante ingombrante come l'AIDS nell'anno di una pandemia in cui molte cose (dal silenzio all'impreparazione medica fino all'isolamento in cui se ne vanno i malati) sono comuni e fanno ancora più male.
Similitudini impossibili da non vedere, e che danno una prospettiva diversa su quanto è successo rispetto al più teatrale Angels in America o al troppo retorico The Normal Heart.

Voto: ☕☕½/5

The Salisbury Poisonings

In Breve: siamo nel 2018 e la cittadina inglese di Salisbury entra nel panico. 
Due cittadini russi si sentono male, così come il poliziotto che è stato sulla scena del crimine.
Dopo attimi di incertezza si capisce che la situazione è drammatica: il veleno utilizzato è un agente nervino, difficile da rilevare, capace di agire per contatto anche dopo 50 anni e provocare la morte in pochi minuti, o giorni.
Le forze dell'ordine e della salute pubblica cercano di capire come agire, tra impreparazione, eccesso di zelo, possibili piste e fonti di contagio.
Una storia vera che mi ero persa, una storia spaventosa che vista oggi ha un sapore nuovo, drammatico e attuale.


Chi c'è: c'è Anne-Marie Duff, che sarebbe un ministro della Salute con i fiocchi in caso di pandemia.
C'è Rafe Spall nei panni di un poliziotto decisamente sfortunato che rappresenta con straziante realtà i risvolti psicologici del suo contagio.
Ci sono piccoli ma grandi attori che rendono ancora più sentita questa storia vera.

Momento Migliore: ma anche il più triste, quello in cui si capisce perché la storia parallela di una coppia di (ex) alcolizzati ci viene raccontata.
 
Funziona? Anche troppo bene.
Concisa e ben fatta come solo le miniserie inglesi sanno essere, questa storia vera acquista una nuova dimensione con l'anno di lockdown che abbiamo sulle spalle e gli avvelenamenti russi più noti, rendendo l'operato delle forze in campo ancor più encomiabile. 
Il finale che mostra i veri protagonisti garantisce l'effetto pugno allo stomaco su una vicenda di soli tre anni fa passata quasi nel silenzio e che andava resa nota.

Voto: ☕☕½/5

6 commenti:

  1. Grazie per un po’ saprò cosa guardare !

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    1. Figurati! Prepara fazzoletti e tisane calmanti, tre miniserie che non si fanno dimenticare in fretta.

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  2. It's a sin amata moltissimo. Mi ha distrutto.

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    1. Tra il finale e l'episodio su Colin ho consumato fazzoletti a volontà.
      Partire preparata non mi ha aiutato.

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  3. Con The Serpent sono fermo al primo episodio, che mi ha annoiato e mi è sembrato simile ad altre storie simili, che per altro non sono il mio genere. Non so se riesco ad arrivare fino al terzo episodio...

    It's a Sin parte come una commedia leggera, e poi devasta.

    L'altra serie non l'avevo mai sentita. Sembra attuale il giusto per meritare un recupero, se la trovo...

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    1. Il true crime non fa per te, e qui si è molto in linea con il genere anche se la narrazione temporale e l'investigazione tiene alta la tensione. O almeno, su di me ha funzionato bene da subito.

      Da It's a sin non so se mi riprenderò mai, quanto a Salisbury Poisonings si trova cercando un po' come tutte le miniserie inglesi che passano nel silenzio (vedi quelle con Tennant) e pure qui i livelli di tensione sono alle stelle, soprattutto se visto in zona rossa.
      Il covid-19 sembra uno scherzo rispetto all'agente nervino.

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