26 giugno 2021

La Cordigliera dei Sogni

Andiamo al Cinema

È sabato e dovrei parlare di un documentario importante.
E mi sento in soggezione.
Come spiegarlo un documentario che parla di ferite che non si rimarginano, di situazioni politiche, di testamenti politici e personali se non si è troppo preparati? Come lo si vede, un documentario così, sapendo di non avere tutte le basi?  Che si sa, quando si tratta di Storia le scuole arrivano al massimo alla seconda guerra mondiale, l'Europa al centro, il resto nemmeno si tocca.
Così il colpo di Stato, la dittatura, la repressione del Cile sono informazioni che ti sono arrivate tra film e libri, leggendo articoli.
Ad informarti sul sangue versato, c'è stato anche lui: Patricio Guzmán.


Documentarista cileno, che se n'è andato dal Cile da vent'anni ma che al suo Paese ha dedicato la sua intera filmografia.
Esule, dal cuore spezzato, cerca attraverso le sue immagini e le sue parole, di sanare ferite.
Lo aveva fatto con Nostalgia della Luce mostrandoci immagini di rara bellezza del deserto di Atacama e del cielo stellato che lo sovrasta, parlando di quei figli desaparecido che le madri continuano a cercare in quegli spazi sconfinati, parlando di epoche lontane che la luce attraversa con la scienza e la storia a stringere un'alleanza.
E sono state lacrime.


Lo aveva fatto con La Memoria dell'acqua, in cui tra fiumi e quell'oceano che fa da confine al Cile, parlava del primo popolo cileno, di quei nativi fuegini che sono stati sterminati e ancora una volta di quei desaparecido buttati in mare con una sepoltura indegna, una scomparsa che con fatica si cerca di provare.
E sono state altre lacrime.


Ora, parla dell'altro confine del Cile: quello montano. 
Quella Cordigliera che da Santiago si vede sfocata, presenza imponente e spesso dimenticata. 
In immagini di rara bellezza, ci mostra rocce e crepi, ghiacciai e miniere, ci mostra sfruttamenti che rendono il Cile più ricco e cure artistiche più significative, e parla ancora una volta di quelle proteste represse nel sangue, che l'han spinto ad andarsene.
Lo fa incontrando il suo alter ego: Pablo Salas, un documentarista che è rimasto, che nel suo archivio ha anni di filmati a raccontare quegli anni e tutti quelli a venire.
E ce le mostra le immagini di giovani picchiati, fatti salire in camionette, di opposizioni pacifiche che pacifiche non restano.
Nel mentre, racconta Guzmán, con il suo stile ora inconfondibile anche ai miei occhi.
E racconta di sé, della sua casa, delle sue ferite.


Il terzo capitolo di quella che è a tutti gli effetti una trilogia, è anche quello più personale.
Quello in cui la ferita di un Paese corrisponde alla ferita di chi la racconta. E che cerca di venire a patti con la sua decisione di esule, con la sua decisione di tornare in un finale in cui ancora una volta le lacrime fanno capolino.
È il potere delle immagini più potenti, delle storie più dolorose, che si mescolano in un vortice suggestivo.
E io, ce lo fatta a convincervi a recuperare un documentario importante ma non pesante, bellissimo e segnante?
Spero di sì.

Voto: ☕☕☕☕/5

6 commenti:

  1. Sì, ce l'hai fatta.
    Meraviglioso Paese, nel Cile c'è tutto il mondo, il ghiaccio e il fuoco.
    Sfortunato Paese, sfortunato pezzo di un'America troppo vicina a quell'altra America per essere lasciata in pace.

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    1. Proprio grazie a Gunzmàn il Cile è entrato nella mia lista dei desideri, prima o poi...
      Intanto, ne godo e cerco di conoscerlo grazie ai suoi racconti.

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  2. No, con me non ce l'hai fatta. Ma non è colpa tua. La cosa più impegnata che riesco a vedere al momento è la serie Sex/Life. XD

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    1. È estate, sei perdonato. Però Sex/Life non si può vedere neanche con questo caldo, su! Ero convinta fosse una serie polacca sulla scia di 365 giorni, e invece... no, mi rifiuto.

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  3. Forse con me ce la fai, magari lo alterno a Solos

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    1. Evvai! Solos l'ho iniziato anch'io , ne parlerò a breve ;)

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