17 gennaio 2018

Vi Presento Christopher Robin

Andiamo al Cinema

Dici: Winnie the Pooh.
E pensi alla serie animata Disney anni '70, dai tratti meravigliosi, dalle voci italiane che fanno ancora sognare. Pensi al bosco dei Cento Acri e ai suoi abitanti coccolosi.
Poi, sì, pensi a quanto l'immagine di Winnie è stata sfruttata, all'averla ritrovata in ogni dove in tempi passati e recenti, tra diari, quaderni, peluche, sorpresine.
Ovunque.
Così ovunque da far venire a noia.
Di certo, però, quando si dice Winnie the Pooh non si pensa ad A. A. Milne.
O almeno non io, che del vero creatore di Winnie non conoscevo il nome né tanto meno la storia.



Blue Milne -un soprannome che dice tutto- è un soldato, ritornato da un guerra mondiale -la prima- ancora scosso, incapace di gestire un trauma così grande, incapace di gestire una vita che appare uguale a quella che aveva lasciato per il confine francese, dove però ogni rumore improvviso, ogni stappo di bottiglia, ogni ronzio di ape, risveglia ricordi, sensazioni indelebili.
Fare un figlio, meglio, una figlia, sembra la soluzione per andare avanti.
Ma dopo un parto difficile, ne esce un bambino che non aiuta allo scopo, e che viene presto lasciato nelle mani sapienti di una tata.
Fuggire da Londra, allora, è il prossimo passo.
Ritrovare la pace fra la campagna inglese, in una tenuta circondata solo dal bosco, dove lavorare davvero, non su commedie o parole, ma con il legno, con sudore e fatica.
Succede però che la moglie non ci sta a rinunciare alla vita mondana, succede che quella tata che è tutto l'amore che quel bambino conosce, deve assentarsi, e Blue, padre, si trova da solo con il figlio: Christopher Robin.


La nascita di Winnie the Pooh sta tutta qui: in giornate spensierate passate a giocare e nascondersi in quel bosco, grande anche più di cento acri, dando voce ai peluche di Christopher, che così si chiama ma che Christopher non è.
Billy Moon, questo è il suo vero -ma fittizio- nome, e poco a poco, dando un nome a tutti i suoi peluche, facendoli muovere, vivere, darà al padre l'ispirazione necessaria a scrivere il libro di cui l'Inghilterra -e lui- aveva bisogno per uscire dalla tristezza e dalla crisi di una guerra.
Una favola a lieto fine, con padre e figlio uniti in un'amicizia speciale.
No.
Purtroppo, il film come la vita, non si fermano qui.
Mostra infatti un battage pubblicitario degno della Disney di oggi, lo sfruttamento dell'immagine, di Winnie come di Christopher, chiamato sempre ad essere quel Christopher, venduto e svenduto per foto, interviste, incontri, da genitori che non sono più, o forse non sono mai stati, genitori, con la tata che si rende conto delle mancanze e delle crepe che si formano, nel mentre, in Billy.
Se nella vita è andata anche peggio che nel film, nel film questo cambio di toni dopo la fiaba che fa sorridere, che fa sognare, che mostra al suo meglio il genio e l'ispirazione al lavoro, è fin troppo brusco.
Veloce, repentino.
Con attori decisamente in parte (il malinconico Domhnall Gleeson, la superficiale Margot Robbie, la materna Kelly Macdonald dallo splendido accento e il tenero esordiente Will Tilston), con una ricostruzione che tra abiti, case, arredamento e il mondo di Winnie stesso fa andare in brodo di giuggiole, è il disequilibrio che non aiuta la pellicola a decollare. O meglio, a frenare il suo decollo.
Sarà quel montaggio a volte troppo avventato, saranno gli anni che passano troppo in fretta, ma la parentesi felice, la più bella, avvince così tanto da far andare di traverso l'ultima parte, nonostante quel collegamento, significativo, all'inizio e le lacrime che chiama a scendere.
La storia di Winnie the Pooh e Christopher Robin, pardon, la storia dell'orso Edward e Billy Moon è una di quelle che andava raccontata, ma forse, non così. Con la soddisfazione ferma a metà.


Regia Simon Curtis
Sceneggiatura Frank Cottrell Boyce, Simon Vaughan
Musiche Carter Burwell
Cast Domhnall Gleeson, Margot Robbie, 
Kelly Macdonald, Alex Lawther
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Big Eyes, Maudie, Neverland
Voto: ☕☕/5

4 commenti:

  1. Non gli davo due lire, ma mi dici che del buono - e del cattivo - c'è.
    Vedrò in questi giorni.

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    1. Del buono, tra attori, storia, creazione e ricostruzione, c'è. Purtroppo manca l'equilibrio, ma potrebbe sorprenderti, forse più di me, provaci ;)

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  2. Se pensando a tutte quelle cose coccolose e disneyane viene la noia a te, a me cosa deve venire?
    Un infarto? ahahaha

    La storia potrebbe anche essere interessante, però dal trailer e anche da quel che dici mi sa di cinema troppo classico, perfettino e stucchevole per non farmi stare male. Cercherò il momento giusto, se mai ci sarà, per vederlo...

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    1. La sorpresa è che c'è meno buonismo del previsto, e il buonismo che c'è è in quel momento di creazione perfetta che fa venire le lacrime agli occhi per la bellezza. Quando tutto cala, e diventa "meschino", cala però anche il film. Il momento spero arrivi, così male in ogni caso, non è.

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