Non ricordo dove lo avevo letto, o dove lo avevo sentito.
Ma c'era quest'uomo, caduto in depressione, incapace di muoversi e fare una qualunque azione, convinto che così facendo, toglieva la possibilità ad un altro di poterla fare a sua volta, quell'azione.
Quest'uomo era infatti convinto che al mondo ci fossero un numero limitato di possibilità per compierla, quell'azione -ridere, piangere, ma anche semplicemente cogliere un fiore o, l'esempio che l'autore citava, toccarsi, sì, in quel senso.
E così, ogni volta che lui sorrideva, piangeva, coglieva un fiore o, appunto, si toccava, quel numero totale scendeva, si avvicinava un po' di più allo zero e toglieva la possibilità ad un altro di toccarsi, o a lui stesso di poterlo ripetere.
Ne scaturiva un senso di colpa per ogni gesto, in particolare quello di toccarsi che già di per sé porta ai sensi di colpa in modo naturale (motivo per cui credo di aver letto il tutto da Philip Roth, uno che di sensi di colpa se ne intende).
In questa settimana piuttosto solitaria, questa riflessione mi è tornata alla mente per come questa settimana piuttosto solitaria si sia illuminata conversando con gli amici di sempre, quei due rimasti da una scrematura durata anni, e che alla fine, ha portato il nostro terzetto a resistere.
Le strade si saranno anche separate, le città in cui viviamo distano sempre più chilometri e in un caso sconfinano fuori dall'Italia, ma nel sentirci, di nuovo, quella distanza si annienta.
E allora mi sono chiesta se anch'io, raggiunta la perfezione o raggiunto il limite, un nuovo vero amico non lo trovo per non avvicinare l'umanità allo zero, se questa scrematura naturale causata da diversità e cambiamenti, sia anche un modo per permettere ad ognuno di averlo, almeno, un amico.
Pensieri contorti per giustificare la mia poca propensione al conoscere persone nuove, a dover interagire e condividere quando in fondo sto così bene così come sto.
Mah.
Sembra che questa domenica, complice il grigiore autunnale che vedo dalla finestra, si sia trasformata in una domenica di riflessioni troppo profonde, ma sono stata tutta la settimana all'erta, a pensare a cosa scrivere, a cercare uno spunto degno di questa rubrica, e anche se idee ce ne sono state (la migliore, suggerita da un giovine addormentato, partiva dalla fantastica frase "Sogno o son ciccione" scaturita da sotto le lenzuola dopo quasi dodici ore di dormita non stop), queste idee, dicevo, le sfrutterò per le domeniche a venire.
Quella riflessione iniziale, invece, quel senso di colpa e quell'apatia per salvare il mondo e se stesso, quel privarsi per non peggiorare, non se ne andava dalla testa. Forse anche solo perchè non riesco a ricordare dove l'avevo letta, o sentita, quella storia.
O per il fatto che era allo stesso tempo così pessimista e così umanitaria, stare fermo, non fare nulla, per permettere ad altri di fare. Anche se quell'azione da compiere poteva migliorare.
Scrivo tutto questo, rendendomi conto che non è un granchè, che forse era meglio usare una delle altre idee, fosse anche "Sogno o son ciccione" e capire dove poteva portarmi, quali strade potevo battere da una frase storpiata di Shakespeare che indica quanto è bello dormire, fare le ore piccole e poi svegliarsi in pieno pomeriggio, non riuscire ad alzarsi e starsene lì, ancora, sotto le lenzuola a pensare a cosa scrivere.
E come sempre accade, all'ultimo, arriva l'idea giusta, l'idea che gironzolava nella mia testa da anni e che potevo qui usare. E mi verrebbe da cancellare tutto, da mettere in bozza e ripartire. Ma sono pigra, sono comunque soddisfatta di quanto scritto, delle verità di fondo e della speranza che qualcun altro ricordi quello spunto iniziale e mi illumini sulla sua origine.
E niente sarà per la prossima domenica, ve lo prometto, più interessante.
Tu parli con uno che, quando vede la gente che conversa spontaneamente pur non conoscendosi affatto, si chiede, tra il meravigliato e lo scettico: "ma questi qui che c'avranno da dirsi, beati loro?". :-D
RispondiEliminaE tre è il numero perfetto, anche per l'amicizia.
E "Sogno e son ciccione" potrebbe essere un futuro best-seller.
Dici che quella 'e' di congiunzione è meglio dell'o ipotetica? Credimi, il giovine ha l'ego gonfio dopo questi commenti :)
EliminaE dopo aver fatto giornate a Venezia senza spiaccicare parola con nessuno, sì, tre è davvero il numero perfetto!
Ah, no, la "e" era colpa del T9! Ma chissà... ;)
EliminaMi viene in mente il protagonista di un romanzo di Nicholls, Noi, che diceva che nei suoi weekend universitari, a casa da solo, non parlava dal venerdì alla domenica. Apriva bocca solo il lunedì successivo. True story, alla fine!
Pensavo che fosse un post dedicato ad Amici di Maria de Filippi, e invece no.
RispondiEliminaSuperata la delusione inziale devo dire che questo post autunnale è comunque molto interessante. Forse persino più di un eventuale post dedicato ad Amici di Maria de Filippi. :)
E ora attendo il pezzo su "Sogno o son ciccione"... ;)
Meglio di Amici di Maria ci vuole poco, spero, anche perchè ho seguito giusto il primo anno con Dennis Fantina per poi rinsavire a abbandonarlo.
EliminaA questo punto, a tempo debito, Sogno o son ciccione diventerà un post ad hoc ;)