Andiamo al Cinema
Manhattan, ma potrebbe anche essere Chicago.
Una cucina affollata, rumorosa, in cui non mancano le teste calde, i litigi come i drammi, l'amore come il razzismo.
Una cucina che diventa ancora più rumorosa all'ora di punta, in cui la macchinetta delle ordinazioni non smette di sputare fuori comande, in cui le stazioni diventano frenetiche, le cameriere delle equilibriste con i loro vassoi giganti.
Di là, su per le scale, oltre la porta a ventola, regna la calma.
Il vociare di turisti affamati, di famiglie in vacanza, disposte a pagare aragoste come panini come pizze in un ristorante che dà su Times Square.
Potrebbe sembrare uno spin-off di The Bear, e a The Bear, ora che mancano pochi giorni all'arrivo della quarta stagione, vien da pensare spesso.
Soprattutto in una cucina di per sé complicata che lo è ancor di più in un giorno in cui si deve capire chi ha rubato 800 dollari dalla cassa, il distributore delle bevande va in tilt causando un allagamento, Julia deve abortire il figlio di Pedro, che quel figlio come una nuova speranza, a differenza di lei lo vorrebbe.
Veniamo catapultati in questa cucina e nella vita di chi ci lavora da Estela, arrivata dal Messico con esperienza ma senza permesso, assunta un po' per caso un po' per fortuna, e che a Pedro viene affidata.
Una testa calda, lui, pronto tanto agli scherzi come alla rissa, di certo non pronto ad essere padre, lui che con i permessi non è in regola, che Julia non la conosce davvero. Ma insiste, sempre, tira la corda, troppo, urla e si agita, ricevendo ammonizioni e preavvisi, complicando le cose in un giorno già complicato.
Alonso Ruizpalacios non può non sottrarsi al paragone con la serie TV di Christopher Storer o al Boiling Point che aumentava l'ansia girato com'era in piano sequenza, anche se il film è tratto in parte dal suo cortometraggio Café Paraíso (2008), in parte dall'opera teatrale The Kitchen di Arnold Wesker.
La verità è che più delle disfunzioni di una famiglia e di una vita spesa dietro ai fornelli come quella di Carmy, qui il focus sono tutti gli abitanti di quella confusa cucina, una cucina nel cuore di Manhattan in cui però si parla spagnolo, in cui ci si insulta in spagnolo, in cui si sognano cose semplici come i soldi e una casa e l'amore, ma anche semplicemente di sparire.
Come un alieno.
Si cucina, certo, in una confusione e in un rispetto non così zelante delle regole che fa mettere nuovamente in discussione la scelta di entrare in certi locali turistici, ma si parla, ci si confronta, si ride e si cerca di stare aggrappati.
Insieme, per quanto si può.
Il ritmo è dato si da una regia che si prende le sue libertà artistiche -ci torno- sia da dialoghi in cui si fanno spazio riflessioni, storie e racconti, sogni e fantasie e giochi.
Sono i momenti di pausa, quelli che allora danno valore alle urla.
Sono un'apertura sonnolenta con il pranzo di brigata e sono le pause sigaretta fra un turno e l'altro.
Ma i drammi sono sempre lì, a correre dietro a Pedro, che mente a una famiglia distante, di cui sente la mancanza e di cui vorrebbe essere più fiero, che si illude di poter tenere a sé Julia, che invece l'ha visto per davvero, mentre lui neanche la conosce.
C'è sempre qualcuno che urla, qualcuno che sbaglia, qualcuno da riprendere, e il clic che cambia tutto è pronto ad esplodere.
Girato in un bianco e nero che rende tutto più speciale, chiusi in 4:3 che aumentano la sensazione di claustrofobia in una cucina sotterranea e bassa, Alonso Ruizpalacios si lascia andare a scelte stilistiche rallentando i tempi e sfruttando i carrelli dentro a una cucina che deve respirare in modo fluido per funzionare.
I personaggi che racconta sono tanto veri quanto crudi, certo, la scena se la prende a forza Raúl Briones, con la sua fisicità e il suo fare sanguigno, ma viene da ringraziare Rooney Mara per aver partecipato al progetto donando la sua luce, quella di una donna tanto forte quanto fragile, una cameriera misteriosa e decisamente cool, che ha aiutato i distributori a far arrivare un film piccolo e denso, artistoide in alcuni suoi tratti ma soprattutto importante.
Per come racconta la vita di chi è immigrato e lavora, si illude, sogna e si fa forza con gli altri, in un mondo che sembra sempre separato da una porta da quello vero.
Quello comunque fragile, quello in cui i piatti possono essere sbagliati, rotti, contaminati.
Voto: ☕☕☕/5
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