12 settembre 2014

Upstream Color

E' già Ieri -2013-

Shane Carruth colpisce ancora, e lo fa a suon di stranezze e complicazioni addirittura più estreme e raggelanti che in Primer.
Se nel suo esordio rinnovava il genere fantascientifico sul tema Macchina del tempo, qui si lascia andare a virus e controlli mentali.
Ancora un volta, immerge senza troppi preamboli lo spettatore nella vicenda di Kris, rapita e drogata ad un pub, costretta ad inghiottire uno strano verme bianco che la porta a fare tutto quello che un misterioso uomo la costringe a fare: nella fattispecie, copiare e ricopiare un libro, inanellare le pagine scritte,e svuotare il suo conto in banca. Risvegliatasi da questo incubo, come nei peggiori film horror, vede scorrere sottopelle l'ospite indesiderato, le cui dimensioni nel frattempo si sono spropositatamente allungate, e, ancora sotto l'effetto dell'ipnosi, si fa operare da un altrettanto misterioso allevatore che trasferisce il suddetto verme in un maiale.


E, sorpresa, di maiali come quello di Kris, è piena la fattoria.
Non più sotto l'effetto del verme e del controllo mentale, Kris si troverà senza lavoro e senza soldi, costretta a cambiare la sua vita e a giustificare tutte le ferite di cui è ricoperto il suo corpo e il suo appartamento.
Depressa e segnata, trova nello sconosciuto Jeff qualcuno a cui aggrapparsi, qualcuno che sembra come lei segnato e ferito e con cui si sente legata a livello inconscio. La loro storia procede pari passo con quella dei maiali nell'allevamento, e solo attraverso sporadici  flashback e lampi di coscienza passata, entrambi ricostruiranno quanto loro accaduto, trovando risposte e luoghi in cui vendicarsi.


Molto più che in Primer, qui quello che conta è più come tutto questo ci viene raccontato che non il racconto in sé. I tanti (troppi?) momenti poetici con piani stretti alla Malick, musica incalzante e alienante, il montaggio e lo svelamento lento, in cui ancora una volta noi pubblico dobbiamo sistemare i pezzi del puzzle, mostrano come il cinema cervellotico sia quello che interessa a Carruth.
Certo, siamo di fronte a qualcosa di più esaustivo e anche di maturo, in cui la narrazione si svolge a tre livelli distinti. E certo, non tutto si ricompone a dovere, e la verità che ci si dà non è detto sia univoca, anche perchè senza una vera propria fine.
Fortunatamente, però, c'è un po' più di cuore, nella regia come nella trama, e per quanto ostico, il tutto è più abbordabile.
Resta comunque, e purtroppo, un lavoro che ha senso solo in relazione al tempo che gli si concede, all'attenzione che gli si presta durante e dopo la visione.
E quando è così, bè, è sempre un peccato.


2 commenti:

  1. hai ragione, bisogna prestargli attenzione.
    io però devo confessare che non ci sono riuscito e ho abbandonato la visione dopo la prima mezz'oretta. ma prima o poi cercherò di recuperarlo...

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    1. L'ho capito e l'ho seguito molto meglio di Primer, ma Carruth non mi convince, soprattutto se si lascia andare a frangenti poetici che mi irritano solo.

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